Da pupillo di Beppe Grillo, a cui il cofondatore del M5S affidò nel 2017 la leadership del suo Movimento, alla possibile fine di un Valentino Tavolazzi qualunque, il consigliere comunale di Ferrara che nel 2012 fu il primo (di una lunga serie) espulso nella storia del M5S. Per Luigi Di Maio, classe 1986, la parabola all’interno dei pentastellati ha dell’incredibile.
I rischi per il governo
Una rottura, quella tra M5S e Di Maio, che potrebbe avere anche conseguenze sul governo: su 72 senatori e 155 deputati M5S, in 50 alla Camera e 20 a Palazzo Madama potrebbero seguire il ministro degli Esteri in un nuovo gruppo (cifra che potrebbe crescere in caso di stop al terzo mandato). Una rottura con il ministro degli Esteri che non è escluso possa portare Conte e i suoi seguaci a togliere l’appoggio al governo Draghi, mettendo a rischio l’alleanza con il Pd e la stessa sopravvivenza dell’esecutivo.
Vicepresidente della Camera
Giovanissimo neodeputato M5S, il 21 marzo 2013 Di Maio, da ragazzo semi sconosciuto di Pomigliano D’Arco, viene eletto vicepresidente della Camera (il più giovane della storia, a 26 anni). In un movimento nato con il motto “uno vale uno”, quell’incarico di prestigio lo porta inevitabilmente a emergere. L’atteggiamento pacato spingono Grillo a definirlo un “politico” rispetto a figure emergenti più barricadere come quella di Alessandro Di Battista. Sarà a Di Maio che Grillo affiderà la guida politica, confermata con voto bulgaro su Rousseau.
Vicepremier
Le elezione politiche del 4 marzo 2018 sono un trionfo per il M5S, ma bisogna scendere a patti con le altre forze politiche, in primis la Lega di Matteo Salvini, altro vincitore delle elezioni. Nasce il governo giallo-verde: Di Maio fa un passo indietro dalla premiership, ceduta a Giuseppe Conte, e diventa vicepremier e ministro dello Sviluppo e del Lavoro. Ma l’abbraccio con Matteo Salvini è mortale: la Lega decolla nei sondaggi e oscura il M5S.
L’addio alla leadership
Dopo la caduta del governo Conte 1, nel 2019, inizia a saldarsi l’intesa con il Pd. Segue il fuoco amico, il gelo di Grillo e il passo indietro dalla leadership del Movimento nel 2020. Ma la rinascita istituzionale è dietro l’angolo e coincide con l’approdo alla Farnesina nel 2019 sotto il Conte bis e con poi la conferma due anni dopo quando a palazzo Chigi arriva Mario Draghi. Al ministero degli Esteri conferma il suo atteggiamento pacato e pragmatico. Ma nel Movimento le cose non migliorano, tanto meno quando arriva Conte. Anzi. Fino alla resa dei conti che sembra inevitabile.