M5S, si fa più concreto il rischio di spaccatura nel partito

M5S, si fa più concreto il rischio di spaccatura nel partito



L’innesco di conseguenze a catena sul governo e la maggioranza scardina la compattezza dei Cinque Stelle. All’addio di alcuni parlamentari in dissenso si aggiungono le voci in arrivo dagli organismi seguite da successive correzioni e smentite, come nell’ultima enigmatica sortita sul ritiro dei ministri pentastellati. Contrariamente a quanto trapelato nella prima parte della mattinata, viene escluso che il leader Conte abbia chiesto le dimissioni dei ministri. L’ipotesi di un passo indietro prima di mercoledì, contestato dagli stessi, sarebbe solo uno scenario dei tanti sul tavolo dei confronti in corso. Abbastanza tuttavia per dare il senso di quali sia il travaglio interno del Movimento.

Chi sono i 9 al Governo, ministri e vice

Sono 9 gli esponenti del Movimento Cinque Stelle al governo che, secondo le ipotesi di queste ore, l’ala ortodossa vorrebbe ritirare dall’esecutivo prima che Draghi si presenti mercoledì al Senato. In particolare si tratta di tre ministri Federico D’Incà (Rapporti con il Parlamento), Fabiana Dadone (Politiche giovanili) e Stefano Patuanelli (Politiche agricole). C’è anche una viceministra, Alessandra Todde allo Sviluppo economico. Mentre sono cinque i sottosegretari rimasti a partire da Carlo Sibilia all’Interno, Ilaria Fontana alla Transizione ecologica, Giancarlo Cancelleri alle Infrastrutture e mobilità sostenibili, Rossella Accoto al Lavoro e politiche sociali, Barbara Floridia all’Istruzione. I nove sono quel che resta della delegazione pentastellata al governo dopo la scissione dei dimaiani di Insieme per il futuro.

Unito fronte del non voto tra i senatori

Va detto che nessuna crepa si è manifestata sul fronte del non voto alla fiducia tra i Cinque Stelle in Senato, sul Dl aiuti. Tutti i 61 senatori del partito di Conte sono stati dichiarati assenti dalla presidente Casellati, non avendo risposto alla chiama. Ma la rappresentanza M5S si era indebolita di una unità dopo la decisione della senatrice Cinzia Leone di passare al gruppo di Ipf. E si rincorrono rumors che danno per possibili ulteriori defezioni in rapporto a quale linea prevarrà nello stato maggiore di Campo Marzio.

Scintille in Consiglio nazionale

Via la fiducia a prescindere, anche se il premier Mario Draghi dovesse decidere di restare. È uno degli schemi su cui si è ragionato nel Consiglio nazionale M5S di giovedì finito tardi e senza una risposta: l’organismo si aggiornerà oggi probabilmente in formula “allargata”. Ma non sono mancate frizioni e momenti di grande tensione. La premessa è d’obbligo: nell’intervento all’assemblea congiunta di mercoledì sera il leader Giuseppe Conte ha detto che sì, il voto dei 5 Stelle al dl aiuti non ci sarebbe stato (causa inceneritore a Roma) ma il sostegno sarebbe rimasto con le risposte opportune da parte di Draghi al documento in nove punti consegnato in precedenza.

Il rischio confusione nella base

Ma il vento in abitazione 5 Stelle sta cambiando, perché – è la convinzione che sta maturando soprattutto nei fedelissimi di Conte – il popolo grillino non capirebbe un doppio passo sulla fiducia, ovvero prima il no da duri e puri e poi il sì. Dunque no a un eventuale voto di verifica della maggioranza, magari preannunciando lo stop all’ex numero uno della Bce con un segnale forte, ovvero sfilando in anticipo la delegazione M5S al governo. Ed è stata proprio questa linea “ondivaga” a sollevare i dubbi di alcuni in Consiglio, in primis Alfonso Bonafede e Chiara Appendino. Serve una strategia se si vuole lasciare, suonerebbe il ragionamento, una linea ben definita senza lasciare spazio all’improvvisazione, l’accusa sotto traccia. Mentre il ministro Federico D’Incà ha ribadito ieri che il problema è a monte perché non si doveva arrivare a questo punto, con il rischio di consegnare il Paese al centrodestra.



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