L’italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti umani (Cedu) per aver interrotto i rapporti fra una madre e una figlia e per aver dichiarato la bambina adottabile senza aver prima debitamente cercato altre soluzioni.
Gli argomenti adottati dai nostri tribunali sono stati giudicati “insufficienti” dalla Corte europea, che ha anche condannato l’Italia a pagare un risarcimento a madre e figlia di 42.000 Euro. Inoltre, non essendo state ultimate le procedure d’adozione, la Cedu chiede alle autorità italiane di “riconsiderare rapidamente la situazione della madre e della figlia”.
La vicenda era iniziata nel 2013 quando la donna, 40 anni, residente a Brescia e di origine cubana, si era rivolta ai servizi sociali per chiedere aiuto contro il marito maltrattante. Insieme alla figlia (nata nel 2012) venne ospitata per due anni in un centro di assistenza e seguita dai servizi sociali i quali, dopo prime valutazioni positive, cominciarono a mettere in dubbio la capacità della mamma di prendersi cura della bambina, continuando comunque a ribadire la presenza di un legame molto stretto e forte tra le due.
Fino al 2015, quando il pubblico ministero chiese la sospensione della responsabilità genitoriale per la mamma e la adottabilità della bambina. La madre si oppose quindi fino in Cassazione, inutilmente, per poi rivolgersi alla Cedu. Secondo i giudici di Strasburgo, i tribunali italiani non hanno adeguatamente proceduto a una valutazione delle capacità genitoriali della madre e della situazione psicologica della minore.
Non solo: la corte di Strasburgo ha sottolineato che non è la prima volta che l’Italia viene condannata per violazioni di questo tipo e che il nostro paese è ritenuto responsabile di aver spezzato molti legami tra genitori e figli con procedure di affido, adozione o decisioni inerenti ai diritti di visita.
“Siamo soddisfatte della sentenza e speriamo che possa permettere a madre e figlia di riallacciare i rapporti”, ha dichiarato una delle sue avvocate, Antonella Mascia. “Noi faremo tutto il possibile affinché le autorità seguano quanto detto dalla Corte”, dice la legale. E proposito dei troppi legami spezzati di cui parla la Corte di Strasburgo, Mascia aggiunge: “Purtroppo non tutte le storie, che hanno molto in comune con quella di questa madre e sua figlia, sono terminate altrettanto bene. In almeno tre casi la sentenza di Strasburgo è arrivata troppo tardi. I bambini erano stati già adottati e il Governo ha dichiarato che non poteva intervenire. Ai genitori non è restato che accettare il risarcimento per danni morali stabilito dai giudici della Corte europea dei diritti umani. O al massimo, come nel caso di una donna di origini cinesi, ottenere, dopo anni, alcune informazioni “anonime” sul figlio cresciuto da altri. Tutti questi casi hanno in comune genitori in difficoltà e il più delle volte donne di origine straniera”.
[email protected] (Redazione Repubblica.it) , 2022-01-20 19:44:19 ,www.repubblica.it