Con l’arresto di Matteo Messina Denaro, avvenuto a Palermo il 16 gennaio dopo 30 anni di latitanza, è finito in carcere l’ultimo dei boss stragisti. Così è stato detto dopo che i carabinieri hanno fermato l’uomo considerato il capo della Cosa nostra siciliana. Ma cosa si intende per stragi di mafia? Il riferimento è ad una serie di attentati contro uomini dello Stato, giornalisti e contro il patrimonio artistico italiano condotto tra il 1992 ed il 1993.
Wired ha costruito una mappa navigabile che consente di ricostruire, passo per passo, quella stagione che, dieci anni dopo la fine degli anni di piombo, tornò a proiettare sul paese l’ombra del terrorismo.
La strategia della tensione mafiosa
Gli attentati del 1992 nascono come risposta della mafia alla conferma in Cassazione delle sentenze del maxiprocesso, procedimento giudiziario condotto dal pool antimafia voluto dal procuratore della Repubblica di Palermo Antonino Caponnetto, del quale facevano parte anche i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Reso possibile in larga parte grazie alle rivelazioni del pentito Tommaso Buscetta, il procedimento di primo grado si concluse il 16 dicembre 1987 con la condanna di 346 dei 460 imputati. Vennero comminati 19 ergastoli e pene per un totale di 2.665 anni di reclusione. Il processo smantellò la cupola allora guidata da Michele Greco, detto il papa. Tra gli imputati, non figurava Matteo Messina Denaro, appena 25enne all’epoca della sentenza di primo grado.
Dopo aver ucciso, nel maggio e nel luglio 1992, i giudici Falcone e Borsellino, la strategia mafiosa si concentrò sui beni artistici e culturali del paese, colpendo la Galleria degli Uffizi di Firenze, il Padiglione d’arte contemporanea di Milano e due chiese a Roma.
La risposta dello Stato
L’8 luglio del 1992, due settimane dopo la strage di Capaci, gli allora ministri di Grazia e giustizia Claudio Martelli e degli Interni Vincenzo Scotti firmarono un decreto che introdusse il carcere duro per i mafiosi. Definito 41-bis, come il comma della legge 663/86 che andava a integrare, prevedeva la possibilità di sospendere le normali modalità di trattamento carcerario.
In particolare, i soggetti sottoposti a questo trattamento si trovano in isolamento, modalità in cui trascorrono anche l’ora d’aria. I colloqui con i familiari sono limitati e la corrispondenza sia in entrata che in uscita viene letta dalla Polizia penitenziaria.
Il 15 gennaio 1993, prima che iniziassero gli attentati contro i beni artistici e culturali, i carabinieri arrestarono Totò Riina, il capo dei capi di Cosa nostra. Esattamente trent’anni più tardi è arrivato l’arresto di Matteo Messina Denaro, condannato per le stragi di Capaci e via D’Amelio, oltre che per gli attentati di Firenze, Milano e Roma. Nel 2006, invece, era finito in manette Bernardo Provenzano, il successore di Riina alla guida della mafia siciliana.
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di Riccardo Saporiti www.wired.it 2023-01-18 06:00:00 ,