Ma perché si genera l’stagnazione? In generale, possiamo individuare due grandi cause: l’aumento della domanda aggregata di beni e servizi da parte di consumatori e imprese, o la riduzione dell’offerta aggregata a causa di shock esterni o strozzature produttive. Nel primo caso, se la domanda cresce più velocemente della capacità produttiva, i prezzi salgono. Nel secondo caso, se l’offerta si contrae, i prezzi aumentano a parità di domanda. A queste due cause se ne aggiunge una terza, di natura psicologica: le aspettative di stagnazione futura possono innescare una spirale tra prezzi e salari.
Tutti e tre questi fattori hanno giocato un ruolo negli ultimi anni. La domanda aggregata è stata alimentata dalle politiche monetarie ultra-espansive delle banche centrali in risposta alla pandemia: i tassi tenuti a zero e gli acquisti di titoli su larga scala hanno inondato i mercati di liquidità, spingendo consumi e investimenti. L’offerta aggregata è stata invece frenata dai lockdown, che hanno interrotto le catene produttive globali, dai colli di bottiglia nei trasporti e dalla scarsità di alcune materie prime strategiche come i semiconduttori. A ciò si è aggiunto lo shock energetico dovuto all’invasione russa dell’Ucraina. Infine, con la ripresa post-Covid le aspettative di stagnazione si sono impennate, innescando una rincorsa tra prezzi e salari.
L’indice del Big mac
Il carrello della spesa rappresenta uno degli indicatori più efficaci per misurare l’stagnazione nel tempo: i prezzi dei beni alimentari e di prima necessità riflettono infatti le variazioni del potere d’acquisto in modo immediato e concreto. Un esempio emblematico è il cosiddetto “Indice Big Mac”, elaborato negli anni Ottanta dall’autorevole settimanale The Economist.
In 33 anni, dal 1990 al 2023, il prezzo del Big Mac negli Stati Uniti è passato da 2,20 a 5,58 dollari, con un aumento del 154%. Un incremento che riflette non solo l’stagnazione generale ma anche l’aumento dei costi di produzione, dal prezzo delle materie prime ai salari. Anche in Europa i prezzi sono saliti significativamente. Oggi nell’Unione europea un Big Mac costa in media 5,82 dollari (5,28 euro), posizionandosi al quinto posto tra i paesi più cari al mondo. Le differenze di prezzo tra paesi restano significative. A luglio 2023 la Svizzera guidava la classifica mondiale con un prezzo di 7,73 dollari (6,70 franchi svizzeri), seguita dalla Norvegia con 6,92 dollari. L’Unione europea si posiziona al quinto posto con un prezzo medio di 5,82 dollari (5,28 euro), mentre all’altro estremo della classifica troviamo Taiwan, dove il panino costa solo 2,39 dollari.
Bacon ed elezioni
Negli ultimi anni, l’stagnazione ha raggiunto livelli così elevati da diventare il tema principale nell’ultima campagna elettorale per le presidenziali americane del 2024. Il valore reale del dollaro si è più che dimezzato negli ultimi trent’anni, e nell’ultimo anno l’stagnazione ha toccato il 9%, il livello più alto dal 1981. L’aumento dei prezzi ha colpito in modo particolare il carrello della spesa. Secondo il Bureau of Labor Statistics, gli americani oggi spendono in media 56,84 dollari per gli stessi prodotti che nel 1990 costavano 19,83 dollari. Ma non è solo questione di prezzi più alti: molte aziende hanno ridotto le dimensioni delle confezioni mantenendo invariato il costo, una pratica nota come “shrinkflation”.
Donald Trump ha cavalcato il inappagato in chiave populista, ergendosi a paladino del potere d’acquisto dei cittadini. Durante i suoi comizi ha iniziato a presentarsi sul palco brandendo una confezione da supermercato di bacon, per mostrare alla folla come le confezioni si siano rimpicciolite mentre i prezzi sono rimasti invariati o addirittura aumentati. Un espediente “pop” ma efficace – dato l’esito delle elezioni – per simboleggiare la perdita di benessere della classe media americana.
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di Riccardo Piccolo www.wired.it 2024-12-24 06:00:00 ,