Di cosa potrebbe occuparsi un “grooming manager”, tradotto “manager della cura di sé”? E il “carpet shampoo manager” (“responsabile dello shampoo per tappeti”)? In certe aziende americane, la prima qualifica si riferirebbe di fatto al barbiere e la seconda all’addetto alla pulizia dei tappeti. Sembrano titoli perfetti per i personaggi di un fumetto o di una (tragi-)commedia e invece a quanto pare vengono davvero utilizzati, stando a quanto si legge in un recente articolo pubblicato sul sito del National Bureau of Economic Research, un ente statunitense che si occupa di condurre e diffondere ricerche economiche non di parte. Non si tratta di un vero e proprio articolo scientifico, dato che non ha subito il processo di revisione paritetica. Lo chiamano working paper, ovvero una sorta di sondaggio/raccolta dati che ha come scopo quello di aprire la discussione su un certo argomento, spesso di natura economica. Il primo autore, Lauren Cohen, è professore presso l’unità di Finance & Entrepreneurial Management della Harvard Business School e ricercatore associato al National Bureau of Economic Research.
Un’epidemia
Secondo lo studio, negli Stati Uniti ci sarebbe stato un picco nell’utilizzo della parola manager nei titoli di lavoro a seguito dell’approvazione di una legge federale che permette di non pagare gli straordinari al personale dipendente che ricopre una posizione manageriale, appunto, e che guadagna un certo stipendio minimo a settimana. Lo stesso non si applica invece per i lavoratori che ricevono una paga oraria, per i quali i ricercatori non hanno infatti osservato lo stesso trend, a conferma del fatto che l’utilizzo della parola manager sia una strategia delle aziende in questione per investire meno soldi nei loro dipendenti. Gli autori stimano che, durante il loro periodo di indagine, alcune imprese abbiano evitato in questo modo circa il 13,5% delle spese che sarebbero servite per retribuire gli straordinari a ciascun “manager strategico” assunto.
La legge statunitense
La legge risale originariamente al 1938 ed era probabilmente stata pensata per proteggere i lavoratori dalle richieste, da parte dei datori di lavoro, di effettuare straordinari e incoraggiare invece questi ultimi ad assumere nuovo personale. Ma, stando a quanto riportato nello studio, la situazione sembrerebbe essersi ribaltata nel tempo. E a quanto pare non si tratterebbe di un fenomeno isolato: “Non si tratta – spiega Cohen – di un solo tipo di azienda o di piccole istituzioni a caso. Sono le aziende più grandi a farlo e a farlo ancora e ancora”. Altri esempi bizzarri di titoli di lavoro altisonanti riportati nell’articolo sono “Director of First Impressions”, riferito all’addetto alla reception, oppure “Guest Experience Leader”, al posto di “Host” o “Hostess”. Come dicevamo, sono dati raccolti oltreoceano, visto che parliamo di una legge statunitense, ma ci mettono comunque in prospettiva. E forse in guardia?
In Italia
Per quanto riguarda l’Italia, ad esempio, un articolo della legge 66 del 2003 esclude dirigenti e personale direttivo delle aziende dall’applicazione delle disposizioni che riguardano la regolamentazione, fra le altre cose, del lavoro effettuato in regime di straordinario. La legge italiana comunque tutela queste figure definendo che le richieste di prestazioni prolungate non debbano diventare la norma ma rimanere appunto “straordinarie”. Oppure ad esempio stabilendo dei limiti massimi per evitare che l’attività svolta diventi irragionevole e controproducente in termini di salute psicofisica del lavoratore, come riporta il sito di Federmanager Friuli-Venezia-Giulia.
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di Sara Carmignani www.wired.it 2023-01-12 16:31:26 ,