di Sandro Iannaccone
Debolmente interagenti lo sono davvero: basti pensare che, se si avesse a disposizione un enorme cubo di piombo con gli spigoli lunghi 200 anni luce, una singola particella di materia oscura avrebbe il 50% di probabilità di passarvi attraverso senza interagire con nulla. È questo uno dei motivi per cui, nonostante gli strumenti sofisticatissimi che abbiamo attualmente a disposizione, è ancora molto difficile osservare direttamente la materia oscura. Finora ci siamo dovuti accontentare di prove indirette, che ancora non hanno chiarito del tutto la natura di questa entità così elusiva e misteriosa.
Come la stiamo cercando
A oggi la comunità scientifica non ha lesinato alcuno sforzo nella ricerca della materia oscura. In tutto il pianeta (e anche nello Spazio, con gli strumenti che abbiamo mandato in orbita) sono tantissimi gli esperimenti e le collaborazioni che si stanno occupando della questione, con risultati però ancora ambigui. Uno dei tentativi più notevoli, che vi abbiamo raccontato di recente, è quello dell’esperimento Dama, condotto dagli scienziati dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) nei Laboratori nazionali del Gran Sasso.
Non molto tempo fa, i responsabili dell’esperimento avevano annunciato di essere riusciti a osservare particelle di materia oscura in collisione con nuclei atomici di materia ordinaria all’interno del loro rivelatore. Tuttavia, diverse altre équipe di scienziati hanno provato a replicare l’esperimento, nelle stesse condizioni, e non sono riusciti a osservare segnali compatibili con quelli del Gran Sasso, il che ha messo in dubbio l’attendibilità dello studio. La conclusione di questa vicenda – così come quella di tutti gli altri esperimenti in corso – è sempre la stessa: al momento nessuno è riuscito ancora a raccogliere la prova regina, indiscutibile e inoppugnabile, dell’esistenza della materia oscura, tanto che un articolo pubblicato su Nature a ottobre 2018 parlava, senza mezzi termini, di un momento di grande difficoltà per gli scienziati che lavorano nel campo
Cosa c’è di nuovo
Descritto il contesto, veniamo quindi allo studio appena pubblicato. Nel loro lavoro, come dicevamo, i ricercatori si sono serviti di una rete di magnetometri chiamata Gnome, acronimo di Global network of optical magnetometers for exotic physics searches, i cui strumenti sono distribuiti in Germania, Serbia, Polonia, Israele, Corea del Sud, Cina, Australia e Stati Uniti d’America. Come suggerisce il nome, un magnetometro è uno strumento in grado di misurare il campo magnetico lungo tutte e tre le direzioni spaziali, definendo così il cosiddetto vettore del campo magnetico, una grandezza che determina tutte le caratteristiche (intensità, direzione e verso) del campo magnetico in un dato punto dello spazio.
Il principio per la ricerca della materia oscura con questo strumento è il seguente: una luce laser, emessa a una frequenza specifica, eccita gli atomi del magnetometro, o, più precisamente, ne orienta lo spin (una caratteristica misurabile del nucleo degli atomi stessi) in una determinata direzione. L’eventuale presenza di materia oscura, si pensa, dovrebbe interagire con lo spin degli atomi, modificandone la direzione. La misura di questo scostamento sarebbe, quindi, la prova dell’esistenza di un campo di materia oscura.
Una rete di magnetometri
È per questo, come spiega Phys.org, che è importante poter contare su una rete di magnetometri piuttosto che su un singolo strumento: supponendo che la Terra, muovendosi nello Spazio, incontri un “muro” di materia oscura, gli atomi nei diversi magnetometri ne saranno gradualmente perturbati, a seconda di dove si trovano sulla superficie del pianeta.
È proprio questo che hanno fatto gli scienziati nello studio appena pubblicato, comparando i dati provenienti da 9 dei 14 magnetometri a disposizione. E ottenendo un risultato apparentemente negativo. “Non abbiamo registrato segnali statisticamente significativi negli intervalli di massa che cercavamo [quelli in cui si pensa ci siano le particelle di materia oscura, ndr], che vanno da 1 a 100mila femtoelettronvolt (feV)”, osservano i ricercatori.
Perché solo apparentemente negativo? C’è un rovescio della medaglia: nella scienza, risultati come questo sono tutt’altro che inutili. Servono, infatti, a restringere il campo delle ricerche, facendo sì che gli scienziati possano “scartare” una determinata strada e indicandone un’altra: in questo caso, il risultato dice che, molto probabilmente, le particelle di materia oscura non hanno una massa che ricade nell’intervallo di cui sopra, e che quindi forse bisogna cercarle altrove, o in un altro modo. E così, la ricerca va avanti: la rete Gnome presto diventerà ancora più sofisticata, con l’aggiunta di nuovi magnetometri e con il raffinamento di quelli esistenti, cedendo il passo alla cosiddetta Advanced Gnome che, auspicabilmente, ci rivelerà ancora qualcosa di più.
Source link
www.wired.it
2022-01-30 06:00:00