Nel programma del presidente l’uscita dall’emergenza della pandemia e l’«unità morale». Per il presidente il suo mandato è pieno: salvo sue scelte personali, oggi imponderabili
«Se resti tu, resto anch’io». Era una sera di fine settembre quando Mario Draghi, in uno dei periodici pranzi di lavoro al Quirinale buttò lì questa frase al padrone di abitazione. Parole che erano forse una spia della fatica che il premier stava sperimentando nel rapporto con gli alleati di governo e dei timori di non ritrovarsi più con le spalle coperte. Sergio Mattarella rispose con un sorriso dei suoi, la bocca appena increspata, allargando le mani con un sospiro per liquidare la questione. Un gesto riassumibile con la frase «lo sai bene come la penso su questo… Non parliamone neppure»
.
Certo, lo sapeva il premier come da tempo lo sapevano gli italiani. Il presidente della Repubblica era fermamente contrario, per ragioni costituzionali
, a un secondo mandato. Lo aveva ripetuto per mesi e mesi davanti a tutti quelli che — in privato ma anche in pubblico — lo sollecitavano a succedere a se stesso. Ed erano davvero in tanti, destinati a moltiplicarsi: politici, intellettuali e gente comune, Cancellerie europee (vedi Emmanuel Macron), ambienti dell’economia internazionale e da ultimo perfino i vescovi. E quando per rendere più esplicita la propria posizione aveva citato i discorsi con i quali due predecessori come Segni e Leone si erano espressi allo stesso modo
, qualcuno aveva ritenuto di pressarlo proponendo di mettere in cantiere un disegno di legge per cambiare la Costituzione, con l’abolizione del semestre bianco e, appunto, del reincarico. Quale che fosse l’intento di quell’iniziativa, non gli piacque per i modi e i tempi in cui fu proposta. Rischiava infatti di far passare l’idea che lui l’avesse ispirata, dettando condizioni al Parlamento o che stesse magari brigando sottotraccia per conquistare un bis.
Ecco perché le ultime settimane il capo dello Stato le ha vissute nel silenzio e chiuso in se stesso. Contatti zero e zero indiscrezioni da parte dello staff. Soltanto un paio di uscite, ma obbligate, per organizzare il trasloco di qualche mobile e un po’ di libri dalla vecchia abitazione di Palermo nell’appartamento che ha preso in affitto a Roma e dov’era ormai pronto a trasferirsi.
Finché alle Camere non è cominciato il tormento delle votazioni. Le ha seguite con sconcerto per gli azzardi e il dilettantismo che ha visto andare in scena, fra prove di forza, accordi subito infranti, sgangheratezze, inerzie, mosse cannibalistiche, passi falsi, tatticismi, rincorse di tweet sui social, invenzioni notturne e roghi di candidature più o meno sostenibili (e parecchie non lo sembravano davvero, basterebbe rileggersi i curricula dei 12 presidenti della Repubblica succedutisi fino ad oggi
). Tutto ciò, mentre a ogni spoglio delle schede cresceva progressivamente il suo nome e con esso quella che Enrico Letta ha definito «la saggezza del Parlamento».
Poi l’epilogo che temeva di più: l’iniziativa presa dalle Camere e dagli altri grandi elettori di chiedergli la disponibilità a restare in servizio, per mettere in sicurezza il Paese
. Lo temeva per un’Italia che ha messo a repentaglio la legittimazione dei partiti, più che per sé, anche se essere sollecitato in questo modo e in questo clima gli crea una «preoccupazione particolare». Ecco il sentimento, un vero assillo, che chi gli ha parlato in queste ore attribuisce a Mattarella, sapendo con quale consapevolezza si prepari ad affrontare questo nuovo tornante della sua storia da uomo delle istituzioni.
Inutile porgli il tema della durata del mandato — tema non formulabile davanti a lui né dal punto di vista costituzionale né da quello del buongusto — e per fortuna nessuno dei capi politici saliti ieri sul Colle ha avuto la sconsideratezza di accennarne. Perché il mandato è, e resta, quello dei sette anni. Salvo sue scelte personali, al momento imponderabili. Ha invece senso domandarsi quale sarà il suo programma da presidente confermato. E qui bisogna ricordare due esigenze per lui cruciali, in base alle quali un anno fa ha dato vita all’esecutivo di unità nazionale affidato a Mario Draghi.
Una riguarda l’orizzonte più vicino: sostenere gli sforzi delle autorità sanitarie e di governo nella lotta contro la pandemia; tutelare il Piano di ripresa e resilienza dal quale dipende la nostra concreta rinascita economica e sociale.
La seconda esigenza va invece proiettata su un futuro più lungo, e ha a che fare con il concetto di «unità istituzionale e morale che ci tengono insieme» e ci fanno sentire «partecipi del medesimo destino» che ha evocato nel messaggio di fine anno. Lavorerà dunque, come ha già fatto finora, per incoraggiare gli italiani a irrobustire il loro «patriottismo» secondo quanto prevede la Costituzione, che non a caso affida proprio al capo dello Stato «il compito di rappresentare quella unità»…
29 gennaio 2022 (modifica il 29 gennaio 2022 | 23:52)
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Marzio Breda , 2022-01-29 22:53:01
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