Matteo Messina Denaro, il mafioso dai due volti

Matteo Messina Denaro, il mafioso dai due volti


A quella bella vita probabilmente Matteo Messina Denaro non ha mai rinunciato, e toccherà ora agli investigatori ricostruire tutti i suoi spostamenti, compresi viaggi e permanenze all’estero. Sarebbe offensivo verso chi gli ha dato la caccia tutti questi anni, nonché per la memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, pensare che abbia deciso di rinunciarci solo ora, colpito dal cancro con poco tempo di vita davanti, ma sicuramente le sue aspettative si erano ridotte, così come era cresciuta la consapevolezza di aver bisogno di essere curato seriamente, accettando così il rischio di esporsi. 

Da sinistra, in senso orario: Pasquale Bonavota, Attilio Cubeddu, Renato Cinquegranella e Giovanni Motisi

Sono Giovanni Motisi, Renato Cinquegranella, Pasquale Bonavota e Attilio Cubeddu. I primi tre esponenti della criminalità organizzata e il quarto parte dell’anonima sequestri sarda

La rete di protezione

Una condizione di libertà resa possibile dalla fitta rete di amicizie che proteggeva il boss. Una rete che non riguarda solamente la famiglia mafiosa o compaesani succubi, ma anche esponenti della “società perbene”, imprenditori con cui Matteo Messina Denaro trattava di energie rinnovabili, centrali eoliche, il nuovo business del boss. Lo faceva tramite l’imprenditore trapanese Vito Nicastri, pioniere del green in Sicilia, ma l’asset allocation del boss comprendeva anche edilizia e grande distribuzione, infiltrata attraverso la 6 Gdo di Giuseppe Grigoli, re dei Despar dell’isola a cui sono stati sequestrati beni per un valore di 700 milioni. Prima ancora il turismo, con i villaggi ex Valtur di Carmelo Patti e i suoi beni sequestrati per 1,5 miliardi. Non si escludono poi ramificazioni all’estero, come per esempio in Venezuela, dove secondo il pentito Franco Safina il boss di Castelvetrano avrebbe un patrimonio di 5 milioni di dollari creato con un’azienda di pollame, probabile lavanderia per i proventi del narcotraffico. Da qualche parte Matteo Messina Denaro dovrebbe tenere anche il patrimonio che gli ha lasciato Toto Riina, oltre al famoso “papello” dove sarebbero annotati i termini della trattativa Stato-mafia. Quest’ultimo particolare, se vero, porterebbe le protezioni a un livello molto ma molto più alto visto il potere ricattatorio. 

Se Messina Denaro aveva queste protezioni molto è certamente dipeso al suo potere mafioso, ma rispetto agli altri boss palermitani, Riina e Provenzano o lo stesso Giovanni Brusca, utilizzava altri metodi per ottenerle. Dopo il periodo stragista il suo potere non lo ha esercitato tanto attraverso il terrore, quanto facendosi benvolere. Ancora più che temuto dai suoi affiliati, Messina Denaro era infatti benvoluto, era il signore affabile che fa regali o si fa dare carta e penna dai carabinieri per scrivere e firmare che è stato trattato bene dai Ros. Non era il contadino che conosceva solo violenza e sottomissione, ma il potente amico che può fare da garante e sa ricompensare i favori. Eccolo il sessantenne che vediamo oggi, non più u siccu o u signurino, Diabolik, nomi da killer, ma “quello dell’olio”, “la testa dell’acqua”, iddu cioè “lui”, a conferma di uno status più elevato. Per far luce sulla rete di rapporti che lo proteggeva, si dovrebbe poi guardare a quei fitti incroci tra massoneria e mafia che da sempre contraddistinguono la realtà trapanese, incroci forti in quella parte di Trinacria e che coinvolgono più sfere d’influenza. 

Matteo Messina Denaro

Il regime penitenziario che istituisce il cosiddetto “carcere duro” è nato come una misura temporanea prima delle stragi di mafia del 1992 e del 1993

I segreti della mafia

Castelvetrano, Trapani. Una provenienza che, se rende Messina Denaro diverso dai boss mafiosi di Cosa Nostra che eravamo abituati a conoscere, gli ha anche probabilmente impedito l’ascesa definitiva, perché non era di Palermo, ed è ciò conta nella cupola, con tutto il bene che si poteva volere al papà Francesco, definito da Riina “uno con le palle”. Suo figlio Matteo è diverso, e lo stesso Riina nelle rare ore d’aria mostrava di non comprenderlo fino in fondo, parlando con gli altri carcerati. Era infatti moderno, “amava i piccioli” ma anche goderseli, al contrario dei boss tradizionali. Per certi versi può essere assimilato alla figura di Enrico De Pedis, il “Renatino” della Banda della Magliana, anche lui diverso dai suoi simili nello stile e nella ricercatezza, così come nella capacità di tessere pubbliche relazioni ed espandere e diversificare il business. Per quanto diverso, Messina Denaro è comunque l’ultimo super boss della mafia siciliana, l’ultimo anello dei Corleonesi che si lega direttamente al periodo buio delle stragi, della trattativa Stato-mafia.

È al corrente di tante storie che qualcuno spera che non siano rivelate, e probabilmente non lo saranno perché difficilmente il boss si pentirà. Ha già nominato una di famiglia come avvocato difensore, sua nipote Lorenza Guttadauro, figlia di sua sorella e madre del suo nipote prediletto, Francesco, che si trova in carcere dal 2018. Forse nemmeno la vita dura del 41-bis dove Messina Denaro viene descritto restare seduto sul letto con la testa tra le mani come a cercare di metabolizzare e decodificare quella nuova realtà, basterà per convincerlo a collaborare. 



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di Marco Romandini www.wired.it 2023-01-19 06:00:00 ,

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