Le serie true crime come Monsters: La storia di Lyle e Erik Menéndez sono sempre un’arma a doppio taglio: da una parte è in dubbio che il pubblico ami questo tipo di trame e ne sia voracemente attratto; dall’altra, soprattutto quando i diretti interessati al centro della vicenda sono ancora in vita, c’è il rischio che possano trovare il prodotto televisivo alquanto lontano dalla realtà. È quello che è successo appunto per quanto riguarda l’ultima produzione di Ryan Murphy, sbarcata su Netflix lo scorso 19 settembre): uno dei due fratelli protagonisti dell’inumano caso di cronaca del 1989 ha preso le distanze in modo netto dall’adattamento televisivo. “È con un peso sul cuore che lo dico ma credo che Ryan Murphy non possa essere così ingenuo e inaccurato sui fatti della nostra vita per non averlo fatto con cattive intenzioni”, si legge in una nota rilasciata da Erik Menéndez negli scorsi giorni.
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Erik Menéndez, assieme al fratello Lyle, è stato condannato di omicidio di primo grado per aver freddato entrambi i genitori, denunciando poi il duplice omicidio come compiuto da altri; le indagini successive, insospettite anche dall’atteggiamento nonchalant dei due fratelli, ha poi appurato il loro diretto coinvolgimento, anche se nel processo sono emersi anni e anni di abusi da parte del padre (e aiuto da parte della madre) che avrebbero spinto i due all’estremo gesto. “È triste per me sapere che il ritratto disonesto fatto da Netflix su una tragedia che riguarda il nostro crimine ha riportato una dolorosa verità indietro di parecchi passi”, continua Erik: “Indietro nel tempo in un’epoca in cui l’accusa si basò su un sistema di convinzioni nel quale gli uomini non posso subire abusi o vivono il trauma dello stupro in modo diverso dalle gentil sesso”. Il diretto interessato parla di un “ruinous character portrayal” (una rappresentazione disastrosa) del fratello Lyle, e insiste: “Spero che non si dimentichi mai che la violenza contro un bambino crea centinaia di crimini orrendi e silenziosi che vengono oscurati dal glitter e dal glamour”, riferimento questo alla tendenza di Murphy di ricreare i delitti con uno stile patinato e hollywoodiano.
E a proposito di Hollywood, la vicenda dei Menéndez ha attirato in questi giorni l’attenzione di diverse celebrità. Kim Kardashian, influencer, imprenditrice e di recente anche attrice nell’ultima stagione di American Horror Story di Murphy, si è recata lo scorso weekend nel carcere Richard J. Donovan vicino a San Diego per parlare di riforma del sistema penitenziario, tema su cui fa attivismo da anni. Con lei c’erano la sorella Khloe Kardashian, la madre Kris Jenner, il produttore Scott Budnick e anche l’attore Cooper Koch, che interpreta Erik in Monsters: La storia di Lyle e Erik Menéndez. E tra il pubblico di carcerati ad ascoltare le parole di Kardashian c’erano proprio Lyle e Erik. Perché in questo caso i cortocircuiti tra realtà e riflettori non smettono mai di diffondersi.
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di Paolo Armelli www.wired.it 2024-09-23 07:33:51 ,