Il tutto partendo da quello che è un enorme assurdità: i social media sono cresciuti grazie al Communication Decency Act, che li ha deresponsabilizzati in funzione della loro terzietà rispetto ai contenuti veicolati. Ma sono cresciuti per mezzo di algoritmi che hanno fatto venir meno quella terzietà. Terzietà che però fa comodo ai gestori, proprio perché li deresponsabilizza. Insomma: Zuckerberg non vuole responsabilità nella gestione dei contenuti, ma vuole i vantaggi che derivano dalla possibilità di gestirli. E vuole far capire a Trump che non è più colui il quale lo silenziò, ma può essere – assieme a Musk – il suo megafono.
Insomma, la scelta di “restituire” in mano agli utenti la responsabilità delle scelte non è una scelta di libertà, ma di apparente anarchia. Ove l’unico intento è gestire – senza assumersene le responsabilità – il modo in cui le persone si informano ed entrano in contatto tra loro.
In pratica, il combinato disposto tra il Communication Decency Act, che deresponsabilizza le piattaforme, e le Echo Chambers algoritmiche, che alterano la percezione della realtà, genera una tempesta perfetta per la disinformazione. In questo contesto, la verità diventa un’opzione e ciò che conta davvero è la plausibilità, ovvero la capacità di un’informazione di apparire coerente agli occhi di chi la riceve. Una vera e propria macchina generatrice di post-verità.
La responsabilità delle scelte
La rinuncia al fact-checking da parte di Meta non può essere letta come una semplice scelta tecnica, ma come una vera e propria decisione politica. Le piattaforme non vogliono assumersi la responsabilità di decidere cosa è vero e cosa non lo è, preferendo affidare questa funzione in apparenza agli utenti, ma in sostanza ai loro algoritmi. Questo significa abdicare a qualsiasi forma di controllo sulla veridicità dell’informazione, lasciando campo libero ad una vera e propria disinformazione governata.
La libertà di espressione è un valore fondamentale, ma senza responsabilità rischia di trasformarsi in libertà di disinformazione. Ed è proprio questa la grande sfida che abbiamo di fronte: costruire un equilibrio tra la necessità di garantire a tutti la possibilità di esprimersi e quella di tutelare il diritto collettivo a un’informazione corretta.
La tecnologia digitale ha trasformato il nostro modo di informarci, di comunicare, di vivere. Serve una riflessione profonda sul ruolo delle piattaforme e sulla responsabilità che queste hanno nel garantire un’informazione corretta. La strada imboccata da Meta è quella di una apparente deresponsabilizzazione sempre più marcata, che vuole ipocritamente legittimare tramite gli utenti scelte che vengono invece indotte dall’algoritmo. Tutto ciò rischia di avere gravi ripercussioni sulla nostra capacità di discernere ciò che è vero da ciò che non lo è. Se vogliamo costruire un futuro digitale sostenibile, dobbiamo porci una domanda fondamentale che è alla base della sostenibilità digitale: vogliamo un ecosistema in cui l’informazione sia governata da algoritmi che condizionano il nostro modo di percepire la realtà, o vogliamo un ambiente digitale che aiuti a costruire una società informata, consapevole e, soprattutto, capace di scegliere?