E se i metalli fossero capaci di “auto-aggiustarsi”? Sembra fantascienza, ma in realtà è quello che un gruppo di ricercatori del Sandia National Laboratories e della Texas A&M University (Stati Uniti) racconta di aver osservato in uno studio appena pubblicato su Nature.
Al momento il fenomeno è stato descritto per una specifica tipologia di metalli e in condizioni di vuoto, e non è ancora chiaro se sia riproducibile anche in condizioni meno stringenti. Certamente queste osservazioni accendono l’interesse della comunità scientifica e potrebbero rivelarsi utili in futuro nel contesto dei processi di manutenzione di strutture costituite principalmente da metallo, come ponti, ma anche motori, carrozzerie di auto, e chi più ne ha più ne metta.
Fratture nanometriche
“È stato assolutamente sbalorditivo da osservare in prima persona”, racconta Brad Boyce, scienziato dei materiali presso Sandia: “Quello che abbiamo confermato è che i metalli hanno una loro intrinseca e naturale abilità di auto-ripararsi, almeno nel caso di danni da affaticamento su scala nanometrica”. È infatti quello che inglese viene chiamato fatigue damage, cioè lo stress a cui è sottoposto un certo materiale nel tempo e che ne determina appunto “l’affaticamento”, a iniziare il processo di formazione di microscopiche crepe, inizialmente invisibili a occhio nudo ma che nel corso del tempo si ingigantiscono dando luogo a vere e proprie fratture.
“Dalle giunzioni saldate nei nostri dispositivi elettronici, ai motori dei nostri veicoli, fino ai ponti su cui viaggiamo, queste strutture spesso si rompono in modo imprevedibile a causa del carico ciclico che porta all’innesco di crepe e all’eventuale frattura”, continua Boyce. Ma finora, racconta ancora il ricercatore, ci siamo aspettati che le crepe che si formano nei metalli possano solo diventare progressivamente più grandi, non certo il contrario: “Anche alcune delle equazioni di base che utilizziamo per descrivere la crescita delle crepe preclude la possibilità di tali processi di auto-riparazione”.
La teoria che ha preceduto le osservazioni
Anche se, diversi anni fa, Michael Demkowicz, allora assistente di cattedra presso Mit (Massachusetts Institute of Technology) e oggi professore ordinario preso la Texas A&M, aveva guidato uno studio teorico, pubblicato su Physical Review Letters, col quale simulava esattamente questo tipo di processi attraverso tecniche cosiddette di dinamica molecolare. Demkowicz è stato quindi coinvolto nel recente studio appena il gruppo di ricerca della Sandia ha osservato, tra l’altro in modo casuale, questo inaspettato fenomeno. Gli scienziati stavano infatti in realtà conducendo degli esperimenti per studiare il modo col quale le crepe si formano e si allargano all’interno di strutture metalliche.
Ed ecco la sorpresa: una delle microfratture sotto esame si è auto-rigenerata in modo definitivo, cioè non si è più riformata nello stesso punto nonostante gli stimoli a cui il materiale è stato successivamente sottoposto. Ulteriori esperimenti concepiti ad hoc e nuove simulazioni messe a punto da Demkowicz hanno poi dimostrato che il processo è riproducibile, e che quello osservato dal gruppo di ricercatori non è un evento raro o anomalo. Non solo, a quanto pare si tratta proprio dello stesso fenomeno teorizzato anni prima. E anche se saranno necessari ulteriori studi per capire se questi risultati siano generalizzabili a diversi tipi di metallo e in diverse condizioni da quelle prese in esame, Demkowicz conclude augurandosi che “questi risultati possano incoraggiare gli scienziati dei materiali a considerare il fatto che, nelle giuste circostanze, i materiali sono in grado di fare cose che non ci saremmo mai aspettati”.
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di Sara Carmignani www.wired.it 2023-07-21 15:13:20 ,