C’è chi, come la premier Giorgia Meloni nell’ultimo libro di Bruno Vespa, le definisce «navi pirata», per lo più non riconosciute, che trasportano «non naufraghi, ma migranti». E chi, come la Germania in risposta alla Farnesina, le difende come imbarcazioni che «forniscono un grande contributo al salvataggio di vite umane nel Mediterraneo». Sulla flotta delle organizzazioni non governative che presidia le acque del Mediterraneo si è riaperto il dibattito pubblico, nazionale ed europeo. Ma quante sono le Ong coinvolte e quali le navi di cui dispongono?
Sedici navi, la metà batte bandiera tedesca
Secondo l’ultima ricognizione, sono 16 le navi dedicate al soccorso dei migranti al largo delle coste africane, non tutte attualmente in mare. Otto battono bandiera tedesca. Si tratta della Humanity 1, per la Ong tedesca Sos Humanity; della Rise Above della tedesca Mission Lifeline; della Louise Michel, l’imbarcazione umanitaria finanziata dall’artista britannico Banksy; della Sea Watch 3, attualmente sottoposta a fermo amministrativo a Reggio Calabria, della Ong tedesca Sea Watch, che possiede anche Aurora, battente bandiera britannica; della Sea Watch 5, che sta per essere messa in mare dalla Ong tedesca United4Rescue, recente destinataria di un finanziamento di 2 milioni di euro da parte della maggioranza che sostiene il governo Scholz; della Sea Eye 4 della Ong tedesca Sea Eye, ora ferma in Spagna a Burriana; della Resq People, della Ong italiana Resq; del Nadir della Ong tedesca Resqship.
La Mare Jonio, della Mediterranea Saving Humans (fondata da associazioni come l’Arci e Ya Basta Bologna, altre Ong come Sea Watch e imprese sociali come Moltivolti di Palermo), è l’unica a battere bandiera italiana. Battono bandiera spagnola, invece, il vecchio rimorchiatore Open Arms e la nuova ammiraglia Open Arms Uno, della spagnola Proactiva Open Arms, che possiede anche la barca a vela Astral, battente bandiera britannica e al momento ferma in Spagna. Spagnola anche la Aita Mari della Ong basca Salvamento Maritimo Humanitario, che ha appena sospeso temporaneamente l’ultima missione prevista nel Mediterraneo in attesa degli sviluppi della situazione in Italia. Altre due navi battono bandiera norvegese: la Ocean Viking, per Sos Méditerranée, organizzazione umanitaria interamente finanziata dalle donazioni solidali, e la Geo Barents, di Medici Senza Frontiere, in acqua da giugno 2021. Entrambe sono pronte a ripartire, come anche la Open Arms.
Presto in mare la prima nave di Emergency
Prossima a operare nel Mediterraneo centrale per missioni di ricerca e soccorso è anche la Life Support, battente bandiera panamense, un offshore vessel di 51,3 metri di lunghezza voluto da Emergency in memoria di Gino Strada, scomparso nell’agosto di un anno fa. «È vero che non bisogna mai dare per scontato che quello che è giusto per noi lo sia anche per gli altri, ma salvare vite non può essere divisivo, mai», spiega Pietro Parrino, il direttore Field Operations Department sul sito dell’associazione. «Questo è il nostro punto di partenza, anche questa volta».
Cinque aerei pattugliano il Mediterraneo
Accanto alle navi, a pattugliare il Mediterraneo ci sono cinque mezzi aerei: Sea Watch ne conta due (Sea Bird 1 e 2) più il Moonbird con la no profit svizzera Humanitarian Pilote Initiative, a cui si aggiungono altri due velivoli della Ong francese Pilotes Volontaires (Colibri 1 e 2) e. Tutti sorvegliano in particolare il tratto di mare davanti alla Libia. Nel 2019 l’Enac non concesse l’autorizzazione al decollo né da Lampedusa né da altri porti italiani a Colibrì e Moonbird, spiegando che «le norme nazionali, così come quelle in vigore negli altri Paesi europei, per questi aeromobili prevedono l’uso per le sole attività ricreative e non professionali». Mentre il soccorso in mare rientra a tutti gli effetti «tra le operazioni professionali», incompatibili «con gli aereomobili di costruzione amatoriale».