Il forzista Tajani sempre più accreditato per gli Esteri. Ipotesi Crosetto (FdI) per guidare lo Sviluppo economico
In apparenza non c’è un accordo chiaro. Ma non è detto che i tre leader della maggioranza ieri non abbiano giocato a nascondere le carte. Ufficialmente Berlusconi ce l’ha con la Meloni, si è preso qualche ora per riflettere.
Non lo soddisfano le offerte ricevute, lo irrita il fatto che Forza Italia non avrebbe una delle due presidenze del Parlamento, non transige sul rifiuto del premier in pectore di concedergli il ministero della Giustizia.
Anche Matteo Salvini ce l’avrebbe con Meloni, tanto che non è andato all’incontro previsto a Villa Grande, nella residenza romana del Cavaliere, dove era atteso per un colloquio a tre. Checché ne dicano nella Lega non lo convince la possibilità che il ministero dell’Economia venga affidato a Giancarlo Giorgetti, che sarà anche il numero due del partito, ma è ritenuto fin troppo «autonomo» rispetto ai voleri del leader. Ma rimane comunque favorito. La delega della Giustizia appare anch’essa incartata: la rivendicazione di Berlusconi combacia con il desiderio di vedere in via Arenula l’azzurro Paolo Sisto o l’ex presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati. Meloni invece per quella casella ha ancora segnato il nome di Carlo Nordio, magistrato, eletto nelle fila di Fratelli d’Italia. Oggi dunque cominciano le votazioni per l’elezione dei presidenti di Camera e Senato senza un accordo complessivo, né tantomeno un’intesa sulla seconda e la terza carica dello Stato. Almeno sulla carta. Anche qui si intrecciano tensioni, incomprensioni, insoddisfazioni. Meloni continua a tenere il punto: il suo candidato naturale per Palazzo Madama è e deve rimanere Ignazio La Russa, sul quale non ha intenzione di cedere, ma da più di 24 ore è ripreso il pressing della Lega a favore di Roberto Calderoli, grande conoscitore dei regolamenti del Senato.
Se la dovesse spuntare la presidente del Consiglio in pectore la Lega dovrebbe accontentarsi, si fa per dire, di avere la guida dell’Aula di Montecitorio, magari con Riccardo Molinari. Ma anche qui sembra esserci un problema interno con i nomi, la non totale aderenza di alcuni profili ai desideri del leader Matteo Salvini.
Stamane si vedrà se la notte ha portato consiglio, quando inizieranno le votazioni. Di sicuro mancano ancora parecchi giorni per arrivare a chiudere sulle caselle del governo: «una settimana» è stata ieri la previsione di Giorgetti, all’uscita da un colloquio con il suo segretario. La poltrona meno ballerina è forse quella degli Esteri, che dovrebbero toccare al numero due di Forza Italia, Antonio Tajani, uno sbocco naturale per un esponente politico che all’estero, da presidente del Parlamento europeo e vicepresidente della Commissione Ue, ha vissuto le sue maggiori tappe politiche.
In tutto i tecnici non dovrebbero essere più di 5 e dovrebbero avere le deleghe di almeno tre ministeri: Agricoltura, Lavoro e Sanità. Per quest’ultima sembra avere delle chance Francesco Rocca, presidente della Croce rossa, ma anche l’ex capo della Protezione civile, Guido Bertolaso. Anche le deleghe del Viminale potrebbero finire ad un tecnico, vicino alla Lega nel caso fosse il prefetto Matteo Piantedosi, già capo di gabinetto di Salvini nel governo Conte 1, oppure di Fratelli d’Italia se si trattasse di Giuseppe Pecoraro, ex prefetto e candidato, ma non eletto, con il partito della Meloni. Adolfo Urso e Guido Crosetto Proseguono ad essere due punti fermi nella lista di meloni, uno con possibile approdo alla Difesa l’altro forse chiamato a spendere il suo bagaglio di imprenditore alla guida del ministero dello Sviluppo economico. Erika Stefani, della Lega, potrebbe avere le deleghe degli Affari regionali.
12 ottobre 2022 (modifica il 13 ottobre 2022 | 07:10)
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Marco Galluzzo , 2022-10-12 20:29:07 ,