Il problema è nero su bianco: le grandi piattaforme online hanno pochi moderatori in Europa. E non coprono tutte le lingue parlate dall’Unione. X, l’ex Twitter, ha due persone per controllare i contenuti in italiano a fronte di 9,1 milioni di utenti. E zero per greco, il romeno o il finlandese, pur contando oltre 2 milioni di iscritti in ciascun Paese. Aliexpress, il braccio del colosso cinese dell’ecommerce Alibaba che opera in Europa, spiega che la moderazione avviene per lo più in inglese e in tutte le altre lingue il team si aiuta con tecnologie di traduzione. LinkedIn non copre tutte le lingue parlate all’interno dell’Unione, ma solo 12. La metà. Così Pinterest.
I primi rapporti sulla trasparenza che 19 grandi piattaforme (oltre a quelle già menzionate, Google e le sue articolazioni search, shopping, maps, play e Youtube, Meta con Instagram e Twitter, Bing, Snapchat, Amazon Booking, Wikipedia e l’App Store di Apple, TikTok e Zalando) hanno dovuto inviare alla Commissione europea per effetto dell’entrata in vigore delle nuove regole europee sul digitale, il Digital services act (Dsa), fanno emergere buchi nella rete di moderazione. Come ha raccontato Wired, analizzando le relazioni spedite dalle big tech.
La situazione:
L’analisi dei dati
Ora la palla passa alla Commissione europea. Che, carte alla mano, deve decidere la prossima mossa. A quanto apprende Wired da un funzionario alla partita, il primo passo sarà analizzare i report e armonizzarli. Che cosa si intende per moderatori, per esempio? Tutte le piattaforme lo intendono allo stesso modo? Google dichiara un numero altissimo: 2.809 per Maps, 7.319 per Play, 3.965 allo shopping e 16.974 su Youtube. Però se si legge il rapporto, l’azienda spiega di tenere conto del volume di persone che hanno controllato almeno un contenuto dei diversi servizi nel primo semestre dell’anno. Considerato l’avvicendamento del settore, può essere quindi che ci siano più teste nel conteggio finale di quelle effettivamente impiegate in un determinato momento. Google lo ammette: “I dati non rappresentano i moderatori assunti per la revisione in ciascuna lingua dell’Unione europea e non dovrebbero essere aggregati, in quanto non riflettono il numero totale di moderatori unici disponibili”.
Il secondo aspetto da approfondire è capire se alcune lingue non sono presidiate perché la piattaforma ha un numero di utenti e di attività molto basso in un determinato paese. Un lavoro che la Commissione condurrà gomito a gomito che le autorità locali, come il Garante italiano per le comunicazioni (Agcom) con cui ha di recente siglato un patto per le verifiche nell’ambito del Dsa. Terzo elemento, decisivo: una verifica dei rischi della piattaforma. Il numero di moderatori deve essere commisurato anche al tipo di profilo di rischio. Il fatto che X sia impestata di casi di discorsi violenti, per esempio, aumenta la necessità di un controllo puntuale. Che poi è quello che contesta Zalando, la piattaforma tedesca di ecommerce e unica europea sotto il Dsa: siccome per il tipo di lavoro non costituiamo un rischio per chi naviga online, non considerateci una grande piattaforma (categoria utilizzata dalla Commissione per identificare i primi operatori da mettere sotto l’ombrello del nuovo decreto).
Il livello di rischio
A valle di queste analisi, più che un numero di moderatori preciso, la Commissione sarà in grado di stabilire il volume ottimale di controllo che ogni piattaforma dovrebbe esercitare. E fare pressione sugli operatori, anche alla luce dei risultati emersi da questi rapporti, che espongono grosse falle. È un lavoro costante, è la linea di Bruxelles. Che ora deve prendere in mano la pratica elezioni europee 2024. I numeri dei rapporti del Dsa non sono incoraggianti e la Commissione intende intavolare negoziazioni con le grandi piattaforme per capire cosa intendano fare in vista dell’appuntamento con le urne del prossimo anno, per limitare manipolazione online e contagio da fake news.
Il problema sono i tempi. Le regole per armonizzare i rapporti del Dsa saranno presentate settimana prossima e dal 17 febbraio il pacchetto sarà obbligatorio per tutti gli intermediari di servizi online e non solo per le 19 big. Il lavoro per gli uffici della direzione generale Connect, responsabile del digitale, aumenterà sensibilmente. Sul tema elettorale entrano in gioco altri uffici della Commissione, come la direzione generale Home, agli interni, ma la sfida è portare al tavolo le big tech e ottenere progressi concreti prima che sia troppo tardi.
Leggi tutto su www.wired.it
di Luca Zorloni www.wired.it 2023-11-10 12:42:20 ,