Il vento che da ogni angolo del mondo soffiava nelle vele di Leo Messi ha pochi precedenti storici. L’ultima finale di Federer a Wimbledon, forse, quando (quasi) tutti abbiamo trattenuto il respiro sui due match-point, ed entrambe le volte l’implacabile Djokovic ce l’ha mozzato in gola. Oppure, andando indietro nel tempo — quando eravamo re — il ko inflitto da Muhammad Ali a George Foreman sul ring di Kinshasa, perché Ali ne aveva passate troppe dopo il rifiuto di partire per il Vietnam («nessun vietcong mi ha mai chiamato negro») per non essere amato come un simbolo di pace.