Intercettare Alessandro Celli in questi giorni non è affatto semplice. Dopo la presentazione al Festival di Venezia del suo film d’esordio, presentato durante la Settimana della Critica, il regista di Mondocane si è buttato di nuovo a capofitto sul set.
Sono i ritmi frenetici del cinema: nemmeno il tempo di godersi l’uscita in sala della tua ultima creatura che già devi canalizzare tutte le tue forze su un nuovo progetto.
Eppure, Alessandro Celli, l’esperienza di Mondocane se la porterà addosso per molto, molto tempo ancora.
Lo raggiungiamo telefonicamente durante una pausa dal set e subito la nostra conversazione verte su quella che forse è la vera protagonista della storia: la città di Taranto.
Perché Mondocane è sì un film dalle infinite chiavi di lettura, ma innanzi tutto è «un atto d’amore per Taranto».
Hai proposto una storia molto particolare. Lavorare con i film di genere in Italia oggi non è semplice, nonostante nell’ultimo periodo stiano uscendo lavori che ispirano molta fiducia. Com’è partita l’idea di un film distopico ambientato a Taranto?
Avevo nel cassetto l’idea di fare un film che fosse un racconto di formazione e che si potesse ambientare in un contesto visionario, dalle regole primordiali, semplici, che preparasse il terreno a una storia fatta di relazioni e sentimenti.
Allo stesso tempo, la miccia che ha fatto innescare il tutto è stata l’intuizione che questo mondo potesse nascere dalla cronaca, invece che dalla sola fantasia come avviene il più delle volte. Non solo come fantasia, quindi, ma un film quasi provocatorio.
Un po’ come accade in altre distopie. Se mi lasci ti cancello di Michel Gondry, per esempio,è una distopia a tutti gli effetti ma al contempo è anche un grandissimo film d’autore.
Sono partito quindi dai fatti di cronaca e mi sono chiesto “che cosa accadrebbe se non ci fosse una soluzione al problema”, se — come nel caso di Taranto — la gente dovesse continuare a vivere un dilemma ingiusto come la scelta tra lavoro e salute, mentre intorno continui a perdere familiari.
C’è stata una gestazione per creare questo mondo, all’interno del quale incastrare il percorso di formazione dei ragazzi.
Oltre alla distopia, c’è tanto di sociale. Mi viene in mente La paranza dei Bambini di Saviano. Hai già citato Se mi lasci ti cancello, quali sono stati gli altri riferimenti, se ci sono stati, sia letterari che cinematografici?
Ho avuto tanti riferimenti, ma mai legati ai gangster movie italiani, perché volevo raccontare un mondo disperato ma solare. Forse c’è un’atmosfera quasi africana, un mondo in cui non c’è niente ma si può essere comunque felici. Non ho mai digerito i racconti criminali in cui l’ambiente circostante è cupo e lugubre. Io voglio raccontare il sogno dei ragazzi, e quindi voglio farlo nella maniera più solare e colorata possibile.
E questo esce fuori, anche nella scelta dei protagonisti. L’amicizia tra i due ragazzi è palpabile sin dalle prime scene del film. Mondocane è stato definito un “neorealismo punk”, che forse rievoca un certo discorso zavattiniano nel dirigere i bambini…
Un paragone super lusinghiero. Il neorealismo è stato un momento davvero importante per il nostro cinema, che ha lasciato il segno. C’è chi dice che Mondocane sia un film orwelliano, ma stiamo scomodando personaggi davvero importanti. Insomma, sono dichiarazioni super lusinghiere per me! Io però non ho guardato in maniera specifica questi riferimenti, sono stato attratto più dal cinema sudamericano, ad esempio, perché lo trovavo più in linea con quello che volevo raccontare. Volevo recuperare suggestioni simili a quelle di Tropa de elite, quando la polizia specializzata entra nelle favelas…
Proporre una storia distopica a Taranto con protagonisti due bambini non credo sia stato semplice, com’è stato? Avete trovato accoglienza fin da subito?
La mia fortuna è Matteo Rovere. Ha voluto che io scrivessi una storia da cucirmi addosso, una storia nelle mie corde e che avesse gli ingredienti giusti per farmi esordire presentandomi al meglio. Io non potevo chiedere di più, perché questo film non è solo un racconto di formazione – che era il nostro punto di partenza -, ma è anche un film che può permettersi una star importante (Alessandro Borghi, ndr.), che ha dato tantissimo al film. Alessandro Borghi porta risorse, attenzione mediatica e, soprattutto, porta idee: sul set ha avuto spunti incredibili e ci tengo a ricordarlo e puntualizzarlo.
Quando si lavora bene con un attore, ti fai anche carico di tutta una serie di responsabilità che ti consentono anche di variare la sceneggiatura, di metterti in gioco su cose che pensavi fossero già scelte. Con lo scambio – quando funziona – tutto diventa più semplice. Io tante cose le ho adattate, perché se è una buona idea, il film si arricchisce. E anche Alessandro Borghi si è cucito addosso il progetto, il film, il personaggio. Quindi è contentissimo!
Groenlandia, Rai, 01 Distribution, tutte le forze produttive, stanno credendo al film. È un esordio inedito per certi versi, sia per quello che propongo, sia per il coraggio di finanziare. Non credo sia stato facile per Matteo Rovere, anche se Matteo è capace di cose straordinarie. Però è andata bene, si sono innamorati della sceneggiatura, il che ha velocizzato un po’ le cose.
Groenlandia, tra l’altro, proprio per il cinema di genere, si sta impegnando molto. Mondocane, però, ha un qualcosa di più, non è solo un film di genere…
A tal proposito, insieme ad alcuni componenti del cast mi sto muovendo per fare opera di sensibilizzazione. Questo film non è uno spot negativo sulla città di Taranto, assolutamente no. È anzi un atto d’amore! Una denuncia di uno stereotipo che si è ormai cristallizzato — erroneamente — nelle menti di molti, ovvero che Taranto è una città inquinata.
Ci sono posti ben più inquinati, ma non vengono comunicati come tali. Taranto invece è associata immediatamente alle acciaierie, alla raffineria…
Io, invece, che adoro tutto di quelle terre, ho cercato di regalare alla città un vero e proprio atto d’amore. Per questo ci tengo tantissimo a coinvolgere il più possibile le persone che abitano nell’intera provincia e vincere lo sconforto e la diffidenza iniziale di chi potrebbe aver visto il trailer e si è sentito tratto in inganno da tutto.
In un momento storico in cui le persone guardano sempre meno i film in sala…
In effetti questo è un problema. Negli ultimi anni la maggior parte delle persone si è disabituata ad andare al cinema. Credo comunque che si parlerà del film, che possa avere una lunga vita.
Spero rimanga nell’immaginario della cultura popolare, un film di cui si senta parlare. Non passa inosservato e non cadrà nel dimenticatoio facilmente. Questa è la nostra scommessa. Bisogna scardinare la diffidenza di chi ha visto solo il trailer e lo ha giudicato non idoneo per le proprie ideologie, magari che ha pensato ad una sorta di Mad Max ambientata a Taranto mentre la città ha ben altri problemi. Mondocane, invece, è un film che è molto a favore della causa Taranto e la causa dei tarantini. È, appunto, un atto d’amore.
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di Gianluca Vignola
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2021-09-09 16:27:13 ,