Un motore spaziale che riesca a far muovere 23 Space Shuttle con in questo momento un grammo di carburante. Sembra fantascienza, ma Sawsan Ammar Omira e Abdel Hamid I. Mourad, due scienziati della United Arab Emirates University, sono convinti che la cosa sia in realtà possibile sfruttando una delle proprietà principali dell’antimateria, ossia l’annichilazione cui va incontro quando si incontra con la materia ordinaria, un processo che comporta l’emissione di grandi quantità di energia. Si badi bene, l’idea di Omira e Mourad, descritta in un articolo pubblicato sulla rivista International Journal of Thermofluid, è per ora solo teorica, ma così bizzarra che vale la pena guardarla più da vicino.
Razzi, batterie, vele… e antimateria
Al momento, il modello più diffuso di propulsione spaziale è quello basato sui razzi, che forniscono grandi quantità di energia ma a prezzo di enormi quantità di carburante. Esistono altre due alternative, la propulsione elettrica e le cosiddette “vele solari”, che sono più efficienti dal punto di vista dei consumi ma che riescono a generare una propulsione molto minore. È per questo motivo che da tempo si cercano nuovi modelli di propulsione in grado di generare una spinta considerevole e che al contempo bevano meno dei razzi. Omira e Mourad, come abbiamo detto, guarda all’antimateria. L’ipotesi della sua esistenza discende direttamente dalle equazioni della meccanica quantistica, che regolano il comportamento delle particelle microscopiche, ed è stata osservata per la prima volta quasi un secolo fa: era il 1932 quando il fisico statunitense Carl David Anderson individuò per primo l’antielettrone, che chiamo positrone – una particella uguale in tutto e per tutto all’elettrone tranne che per la carica elettrica, positiva. Un paio di decenni dopo fu la volta di antiprotone e antineutrone, cui seguirono due anti-isotopi di idrogeno (antideuterio e antitrizio) e infine, nel 1997, i primi atomi di anti-idrogeno.
Annichilazione
Una delle proprietà più interessanti (e pericolose) dell’antimateria, come dicevamo, è l’annichilazione. Quando un antiprotone viene a contatto con protoni o neutroni, per esempio, le particelle si annichilano a vicenda, tipicamente rilasciando energia sotto forma di raggi gamma e di altre particelle a vita breve (i pioni e i kaoni) che si muovono a velocità prossime a quella della luce. Gli scienziati arabi ritengono sia possibile stoccare antimateria in una navicella spaziale per poi sfruttare le particelle prodotte dall’annichilazione come mezzo di propulsione e i raggi gamma come fonte di energia. I calcoli dicono che la quantità totale di energia rilasciata da un grammo di antiprotoni annichilati è circa 1,8×1014 joule, circa 11 ordini di grandezza più grande rispetto a quella di un raggio spaziale e con una densità di energia cento volte superiore a quella di un reattore nucleare, a fissione o a fusione. Donde l’affermazione, che citiamo testualmente, che “un grammo di anti-idrogeno che reagisce con un grammo di idrogeno genera la stessa energia del carburante contenuto in 23 serbatoi esterni dello Space Shuttle, il che vuol dire che un grammo di anti-idrogeno potrebbe idealmente fornire potenza a 23 Space Shuttle”.
È fatta?
Il problema, però, sta tutto nella parola idealmente. Sembra traboccante bello per essere fattibile, e infatti al momento non lo è. Il problema è che, proprio in virtù del fenomeno dell’annichilazione, l’antimateria è molto difficile da trattare: finché non la si vuole utilizzare, bisogna tenerla assolutamente lontana dalla materia ordinaria, il che richiede l’uso di forti campagna magnetici. La produzione di antimateria è molto dispendiosa: l’Antiproton Decelerator, un enorme acceleratore di particelle del Cern di Ginevra, sforna circa dieci nanogrammi di antiprotoni ogni anno al costo di diversi milioni di euro. Per non parlare, poi, delle difficoltà di spostarla: un gruppo di scienziati, sempre al Cern, sta cercando – con enorme fatica – di stoccare e muovere con un camioncino 70 antiprotoni da un laboratorio a un altro distante pochi chilometri. Il bel sogno di Omira e Mourad è destinato a rimanere tale per ancora molto tempo.
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di Sandro Iannaccone www.wired.it 2024-12-22 05:40:00 ,