Di rado, Kang soffre di felici guizzi comici, che integra nei momenti più foschi senza l’alienante forzatura che costituisce la cifra stilistica dei cinecomic Marvel. Gli riesce particolarmente bene quando esplora il bromance tra lo spavaldo e dispettoso Doo-sik e il riservato e umile Jo-woon. La scelta di appaiare due personalità così diverse – una arrogante e ribelle, l’altra semplice e leale – non funziona bene solo sulla carta: la scelta del casting è semplicemente azzeccata. Selezionati tra interpreti (prevalentemente) cinematografici dotati e in vista del panorama coreano. Ryoo, Han e Zo offrono le loro performance più ispirate. L’elegante e sofisticato Zo (The King, Dirty Carnival) e il solido e mascolino Ryoo (Miracle in Cell No.7 e il supereroistico Psychokinesis) nei panni di Doo-sik e Ju-won sono due partner memorabili e divertenti. Zo e la Han, come Ryoo e la Kwak, sono affiatati e in sintonia come vere coppie. Moving riesce a tirare fuori il meglio del loro talento attoriale. Ryoo in preda a un incontrollabile e disperato pianto è da Oscar, ma anche la performance controllata della Han nei panni dell’agente posato e calcolatore è memorabile, mentre Zo, grondante classe e uno charme sornione, fa quello che gli viene meglio, ovvero sé stesso.
Park In-je, già dietro la macchina da presa della serie di zombie The Kingdom 2 (in cui figurava anche Ryoo) eleva la direzione di Moving a vette cinematografiche. Non solo Park adatta il suo stile ogni volta che un episodio devia verso un altro genere, ma si tiene ben lontano dalla direzione anonima e funzionale che spesso informa i k-drama. La sua regia è zeppa di guizzi autoriali, movimentata e originale; le riprese integrano sorprendenti virtuosismi di stile (mirabile la sequenza di lotta che vede Ryoo contro la mafia), le angolazioni si fanno rappresentazione di stati d’animo (lasciatevi stupire dalla potenza esegetica del primo piano di due mani intrecciate riprese dal basso mentre le nuche dei loro padroni emergono sfocate). A volte ci accontentiamo di una produzione di ampia intensità emotiva – e Moving fa soffrire, ma dona una buona dose di felicità – sebbene non sia ineccepibile a livello artistico, altre ci lasciamo sedurre dall’eccellenza formale e creativa a discapito di quella sostanziale. Con Moving, il problema non si pone.
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di Lorenza Negri www.wired.it 2023-09-18 12:00:00 ,