Un parterre di qualità per Mps, all’offerta del Mef hanno risposto oltre un centinaio di fondi, sia quelli con strategie di lungo periodo che hedge, e soprattutto dall’estero e tutti con piccole quote, la maggior parte sotto l’1 %.
Così il primo passo verso la privatizzazione, che porta il Mef a scendere dal 64,23% al 39,23% circa del capitale sociale dell’istituto senese, si configura come una pura operazione di mercato, senza un operatore ‘industriale’, che fa scommettere su possibili operazioni di M&A e consente al Tesoro di mantenere le promesse fatte alla Ue di uscire dal capitale e di fare cassa in vista delle coperture necessarie alla manovra 2024 (circa 920 milioni di euro, con un corrispettivo per azione superiore di quasi il 50% rispetto al prezzo di sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale della banca realizzato nel novembre 2022 quando aveva investito 1,6 miliardi).
“Ora avanti tutta – tuona il vicepremier e ministro Matteo Salvini – con Mps protagonista per consolidare il sistema bancario italiano a favore delle piccole e medie imprese” quasi a suggerire l’ipotesi di un terzo polo bancario, contro la quale si schierano invece i sindacati. Quanto ad ulteriori collocamenti non vengono esclusi, anche se sul ‘se’ e sul ‘quando’ tutto dipenderà dalle condizioni di mercato, non c’è una procedura da seguire e la linea scelta dal Mef è quella di aspettare il momento migliore per il massimo interesse pubblico.
A caldo il titolo in Borsa perde il 7,94% a 2,83 euro, scendendo sotto il prezzo fissato per il collocamento ( 2,92 euro con uno sconto del 4,9% sulla chiusura di lunedì) ma l’operazione non era del tutto inattesa, fa notare Equita, considerando la recente forte performance del titolo (+30% nell’ultimo mese), supportata oltre che dal miglioramento operativo della banca, dalla riduzione del petitum di rischi straordinari (il 27 novembre ci sarà la sentenza d’appello sul caso Viola-Profumo), dal recente doppio upgrade di Fitch sull’emittente e dal miglioramento dell’outlook da parte di Moody’s sul rating sovrano.
La cessione del 25% faciliterà poi eventuali operazioni di M&A, suggeriscono gli analisti, in quanto consentirà al Mef di presentarsi alle nozze con una quota meno ingombrante. E’ infine “un buon segnale” nei confronti delle autorità europee, che potrà essere fatto valere anche qualora debba essere negoziata una nuova proroga. “Il governo – ipotizzano gli analisti di Intermonte – dovrebbe ora poter chiedere un rinvio al 2025 per l’uscita definitiva da Mps, ovvero la vendita della quota residua del 39,2% (per la quale è stato concordato un ‘lock up’ di 90 giorni)”. Il ‘se’ e il ‘quando’ per nuovi colocamenti dipenderà dalle condizioni di mercato, non c’è una procedura da seguire e la linea scelta dal Mef è quella di aspettare il momento migliore per il massimo interesse pubblico.
A questa prima chiamata hanno risposto tra gli altri alcuni gestori italiani che avevano già sottoscritto l’aumento di capitale, come Algebris, Anima, Eurizon, Fideuram e Mediolanum, ma anche nomi nuovi come Kairos e Azimut; tra i grandi fondi internazionali, tra quelli che dovrebbero aver preso quote ‘rotonde’ ci sono Wellington, Tosca Fund e Norges.
Le casse e le Fondazioni invece, che con il Mef avevano fatto un’operazione di sistema sono rimaste fuori dalla partita.
Questa prima mossa, secondo alcuni osservatori, potrebbe aprire la stagione di privatizzazioni, una delle ‘frecce’ che il ministro Giancarlo Giorgetti ha ricordato di avere per il suo arco per trovare risorse per la manovra anche se, ha più volte ricordato, su un orizzonte di tempo pluriennale e al momento giusto. Tra le partecipate dello Stato le ultime iniziative di privatizzazione hanno coinvolto Enav (53,28%), Enel (23,58%), Poste italiane (29,26% oltre al 35% attraverso Cdp) e Ferrovie dello Stato per la quale sono state delineate le attività preparatorie per la privatizzazione; ma il Mef è presente inoltre in Eni (4,34%, oltre al 25,76% attraverso Cdp) e Leonardo (30,20%).
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2023-11-21 20:00:00 ,