Sono passati 30 anni da Il Re Leone (5 dal remake in computer grafica identico), ma Mufasa, il prequel dedicato alla storia di come il padre di Simba sia diventato il primo re di una nuova dinastia (nelle sale da oggi), sembra distare molto più di 30 anni. Il re leone era un film sostanzialmente monarchico, che proprio in quell’idea di regalità, epica e predestinazione trovava il suo senso. Era un’esaltazione della famiglia e, quindi, del cerchio della vita: i figli che prendono il posto dei padri per fare le stesse cose con i medesimi gioielli (esattamente l’ideale conservatore delle monarchie, ovvero non cambiare mai nulla) e, ovviamente, del coraggio e dell’assunzione di responsabilità. Era, insomma, un film che, come molte delle favole sulle quali la Disney prospera, era l’emanazione di uno spirito europeo. del resto, per almeno metà della sua durata, è ispirato ad Amleto.
Mufasa è l’opposto. È cambiato tutto nel mondo e nei suoi gioielli, e la Disney è lo studio che più di tutti sta promuovendo e cavalcando una nuova idea di società e di relazione tra le persone. Mufasa annuncia anche una nuova relazione con il potere. Nella trama, Rafiki (il mandrillo/sciamano), in un giorno di copia in cui deve badare alla figlia di Simba, le racconta la storia di suo padre, un leone sperduto da quando una piena del fiume lo ha strappato ai suoi genitori. Raccolto da una famiglia di leoni che regna sulle terre dove approda, è trattato quasi come un figlio, e lega come un fratello con Taka, il principe destinato a ereditare il regno dal padre. Purtroppo, Mufasa è più predisposto a quel ruolo in ogni senso e, quando altri leoni (bianchi) arrivano a minacciarli, ciò diventa sempre più evidente.
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di Gabriele Niola www.wired.it 2024-12-19 11:00:00 ,