La resa dei conti nel Movimento 5 Stelle è già cominciata e stavolta difficilmente si potrà ricomporre. Luigi Di Maio è un fiume in piena. Accusa Giuseppe Conte di avere una linea «ambigua» sulla guerra e sul Governo, della pessima performance elettorale e di non consentire il confronto sulla linea politica del Movimento. L’ex premier replica attribuendo le «fibrillazioni» al voto imminente sul secondo mandato che potrebbe mettere fine alla carriera di molti degli attuali parlamentari, a partire proprio da Di Maio.
Rottura nel centrodestra a Verona
Contemporaneamente, da Verona, arriva la notizia della rottura nel centrodestra: il sindaco uscente di Fdi, Federico Sboarina, ha detto «no» all’apparentamento con Flavio Tosi, l’ex primo cittadino ora entrato in Forza Italia che ha ottenuto il 24% di preferenze. Se così resterà, per Damiano Tommasi e il centrosinistra crescono le possibilità di conquistare al secondo turno la città scaligera. La rottura avvenuta a Verona è destinata però a pesare nei già difficili rapporti tra Giorgia Meloni e i suoi alleati, pronti ad accusarla di non riuscire a governare neppure gli esponenti del suo partito visto che Sboarina ha pronunciato il suo «no» in conferenza stampa nonostante il vertice di via della Scrofa avesse fatto sapere con una nota di «aver dato mandato a tutta la classe dirigente di Fdi veronese e veneta, di adoperarsi in ogni modo affinché si determini nella migliore forma possibile, la sostanziale unità delle forze politiche di centrodestra». Forza Italia (e anche Matteo Salvini) rimettono il cerino nelle mani di Meloni confidando nella sua «capacità di riportare alla ragione il candidato del suo partito». Vedremo se questo estremo tentativo consentirà al centrodestra di recuperare l’unità.
Rischio scissione nel M5s
Prospettiva improbabile se non impossibile invece dentro M5s. La durezza delle dichiarazioni di Di Maio e Conte suonano come il preludio di una scissione, di un addio dell’uno o dell’altro. È Di Maio a prendere l’iniziativa: «Non si può stare nel Governo ed attaccarlo un giorno sì e uno no solo per imitare Salvini!», dice il ministro degli Esteri. Quanto al risultato elettorale «è vero alle amministrative non abbiamo mai brillato ma mai siamo andati così male». L’elettorato è «disorientato», aggiunge ancora l’ex Capo del Movimento e predecessore di Conte che ritiene inesistenti gli spazi di democrazia («non c’è un posto in cui parlare»).
L’affondo di Di Maio
Anche la tempistica significativa. Il ministro degli Esteri parla mentre Mario Draghi è a Kiev con Emmanuel Macron e Olaf Sholz e poco prima che la maggioranza si riunisca per un primo confronto sulla risoluzione che seguirà le comunicazioni del premier, martedì prossimo, in vista del Consiglio europeo del 23-24 di questo mese. Il titolare della Farnesina lancia un monito chiarissimo al leader del suo partito: «Non credo sia opportuno assumere delle decisioni che disallineano l’Italia dall’alleanza Nato e dall’Unione europea. Non credo sia opportuno mettere nella risoluzione che impegna il presidente del Consiglio per il Consiglio europeo, delle frasi o dei contenuti che ci disallineano di fatto dalle nostre alleanze importanti, perché l’Italia non è un paese neutrale ma è all’interno di alleanze importanti stabilite dai nostri padri fondatori».
La replica piccata di Conte
Parole inequivocabili alle quali poco dopo replica Conte piccato. «Con Draghi in missione non parlo di politica estera», dice, bollando come «stupidaggine» sostenere che M5s sia «anti Nato» perché «mai ho messo in discussione la nostra collocazione atlantica ed europeistica». Un botta e risposta senza soluzione di continuità. Conte lascia intendere che le «fibrillazioni» di queste ore siano da attribuire al timore di rimanere tagliati fuori dalla regola del doppio mandato su cui il leader M5s ha chiesto agli iscritti di pronunciarsi. Quanto all’ipotesi di scissione e della nascita di un nuovo partito il leader M5s risponde secco: «Questo chiedetelo a lui». Il «chiedetelo» è rivolto ai giornalisti. Gli stessi o quasi che poco prima erano attorno a Di Maio. Nessun confronto diretto tra i due. Come avvenne del resto all’indomani della rielezione di Sergio Mattarella lo scorso gennaio, quando Di Maio aveva sottolineato il «fallimento di alcune leadership» nella gestione della partita quirinalizia. Allora si rappattumò una tregua a cui lavorò anche Beppe Grillo. Ora siamo allo scontro finale.