Author: Claudio Bozza
Data : 2022-12-08 19:42:15
Dominio: www.corriere.it
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Il leader chiede 30 mila euro a ciascuno dei 61 parlamentari che passarono con Di Maio. Presutto: «Decreti ingiuntivi? Bene, in tribunale faremo chiarezza sulla sua opacità»
Il Movimento di Giuseppe Conte pretende indietro 1,8 milioni dagli scissionisti che passarono con Luigi Di Maio prima della caduta del governo Draghi.
Nel 2018, accettando la candidatura in Parlamento, il regolamento dei Cinque stelle di allora prevedeva la restituzione di 30 mila euro (dei circa 45 mila totali) che ogni eletto percepisce al termine di ogni legislatura. Tecnicamente si chiama «assegno di solidarietà», che più semplicemente è come un “Tfr”. Una richiesta difficilmente contestabile, viste le clausole messe nero su bianco e controfirmate dagli ex grillini.
Ma gli scissionisti, capitanati dall’ex vicecapogruppo al Senato Vincenzo Presutto, replicano con una contestazione di sostanza: «Il M5S a cui aderimmo nel 2018 non esiste più. Quello di oggi è il partito di Conte, un soggetto totalmente diverso e giuridicamente distinto da quello attuale: quindi perché dovremmo restituire a Conte questi soldi? — afferma Presutto —. Procederanno con decreti ingiuntivi? Benissimo, sarà l’occasione per fare chiarezza su tutto e tutti. C’è stata una gestione opaca e, visti i procedimenti giudiziari in corso
, Conte resta potenzialmente un leader abusivo».
Dopo l’inizio della nuova legislatura, un gruppo di fedelissimi dell’ex premier sta lavorando a un nuovo regolamento interno, che, tra i vari punti, rivede le cifre delle restituzioni, ben diverse da quelle dei tempi «anticasta». Deputati e senatori dovrebbero continuare a rinunciare a 2.500 euro al mese. Nella precedente èra, mille finivano nelle casse del partito, mentre 1.500 venivano «restituiti» alla collettività, finanziando tra i vari soggetti onlus e microcredito per le imprese. Ma nel nuovo corso contiano gli equilibri sarebbero ribaltati: 2 mila euro al partito e solo 500 indietro alla collettività.
Non è un mistero, infatti, che i conti del Movimento siano in difficoltà. Mantenere questa «macchina» politica è diventata un’impresa anche per un giurista navigato come l’ex premier «avvocato del popolo». Buona parte dell’apparato è infatti ancora tarato sui fasti del 2018, quando i grillini riuscirono a fare eleggere 330 parlamentari, un numero grazie al quale si ottenevano circa 16 milioni annui come rimborsi ai gruppi parlamentari. Dopo il 25 settembre scorso, e dopo una campagna elettorale in cui non sono stati accettati i grandi finanziamenti privati come gli altri partiti, oggi il Movimento ha solo 80 parlamentari. Le spese sono sì diminuite, ma oltre ai fondi per garantire il funzionamento delle attività istituzionali alla Camera e al Senato, servono quelli per pagare la sede di Via di Campo Marzio (si parla di 12 mila euro al mese) e soprattutto il contratto di consulenza per la comunicazione tra i Cinque stelle e il inventore Beppe Grillo (si parla di 200 mila euro annui).
C’è da rimettere in sesto i conti, insomma. Anche per questo Conte ha deciso di passare all’attacco per provare a recuperate le presunte morosità, come appunto il “Tfr” non versato dagli scissionisti. E in questa azione di recupero crediti sono previsti due pesi e due misure: coloro che non hanno abbandonato il M5S e sono stati rieletti dovranno restituire solo il 20% del “Tfr” (circa 9 mila euro), mentre agli scissionisti niente sconti: 30 mila euro. Si annuncia un’altra lunga battaglia legale, come quella avviata dagli attivisti seguiti dall’avvocato Lorenzo Borrè, che nel ricorso contestano la legittimità della leadership di Giuseppe Conte. Intanto l’ex ministro Di Maio fa sapere che «non ha ricevuto alcuna somma relativa al suo tfr», e quando avverrà «comunicherà le modalità con cui aiuterà la collettività».
8 dicembre 2022 (modifica il 8 dicembre 2022 | 20:41)
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