Un giudizio forse eccessivo severo. Confermato però dallo scarso numero di utenti (e anche aziende) che assegnano a ChatGPT un valore tale da pagare per la versione a pagamento (circa 7 milioni su 200 milioni di utenti totali) e anche dal netto decelerazione dei progressi a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi. Come scrive sempre Newton, “ChatGPT ha generato stupore anche grazie al drastico miglioramento dei risultati rispetto alle versioni precedenti. Il salto da GPT-2 a GPT-3 è stato notevole (…). GPT-4 e poi GPT-4o sono ancora la parte migliore: più veloci, più efficienti e meno propensi alle allucinazioni di GPT-3. L’uso che facciamo di ChatGPT è però ancora lo stesso e le nuove abilità ben poche”.
Peggio ancora: a differenza di social network, motori di esame e la maggior parte delle realtà che operano nel mondo digitale, i large language model non sono altrettanto scalabili, visto che i costi crescono notevolemente all’aumentare degli utenti, riducendo il margine di guadagno.
Cui prodest?
Ovviamente, ci sono anche degli argomenti a favore dell’intelligenza artificiale generativa, tra cui la relativa novità di questa tecnologia, che potrebbe quindi ancora mantenere le promesse e magari portarci davvero verso la tanto attesa – e al momento fantascientifica – super intelligenza artificiale, il fatto che anche colossi come Amazon abbiano bruciato enormi quantità di denaro, per anni e anni, prima di diventare le macchine da soldi che sono oggi e che, con il tempo, i costi relativi alla produzione dei chip o all’addestramento e gestione dei sistemi di AI dovrebbero scendere, rendendo questo settore economicamente più sostenibile.
Infine, l’eventuale esplosione di una bolla finanziaria o il fatto che l’intelligenza artificiale sia circondata da aspettative eccessive non significa che questa tecnologia sia un flop. Al contrario: l’intelligenza artificiale – soprattutto nella sua versione tradizionale, quindi non generativa – sta cambiando il mondo davanti ai nostri occhi da dieci anni a questa parte, venendo integrata in quasi tutti i software che utilizziamo, diventando un elemento imprescindibile per il funzionamento di social network, motori di esame, servizi di streaming, portali di e-commerce ed essendo oggi fondamentale anche in settori tanto ricchi quanto delicati (basti pensare alle armi autonome o alla sorveglianza).
Quando nella Silicon Valley scoppia una bolla speculativa (e che ciò effettivamente avvenga è ancora da vedere), non sempre significa che la tecnologia che ne è protagonista sia un fallimento, ma a volte soltanto che i tempi non erano ancora maturi, che gli investimenti sono stati eccessivi o le aspettative esagerate. D’altra parte, è esattamente quello che è successo con internet, che prima ha affrontato la celeberrima bolla delle dot-com di inizio Duemila. E poi ha trasformato il nostro intero sistema socio-economico.
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di Andrea Daniele Signorelli www.wired.it 2024-09-10 05:00:00 ,