Un summit dalle aspettative forse modeste, ma non per questo meno importante. Anzi. L’incontro tra Joe Biden e Xi Jinping, primo in un anno tra i leader delle due grandi potenze economiche e militari, può apparire sottotono, fin dalla coreografia: è in prorgamma oggi ai margini del vertice Apec, l’Asia-Pacific Cooperation Summit, a San Francisco. Proprio l’attenzione alla coreografia rivela però quanto sia considerato delicato e importante: la Casa Bianca ha tenuto segreta la logistica e garantito che dalla carovana di auto e dall’albergo la vista di Xi non sia turbata da manifestazioni di protesta.
Perché in gioco, è convinta l’amministrazione, sono piccoli quanto indispensabili passi avanti bilaterali in un mondo scosso da conflitti e paure. Passi necessari a ricucire rapporti deteriorati e a coronare un tuttora fragile disgelo che si è nutrito di reciproche missioni diplomatiche preparatorie ad alto livello.
Gli obiettivi
Due aspetti sono esplicitamente cari – e simbolici – per la Casa Bianca: riaprire la comunicazione tra le forze armate, indispensabile alla stabilità geopolitica e a scongiurare rischi di incomprensioni che degenerino in incidenti o peggio conflitti. E unire gli sforzi nella lotta al narcotraffico di fentanyl, l’oppioide che fa strage nelle città americane in arrivo da Messico e Cina. Progressi sono anche auspicati, più in generale, su una gestione con meno traumi dell’accesa concorrenza economica e tecnologica, che allontani spirali da guerra fredda. Nelle parole del Consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan: il meeting, se non risolutivo, vuol essere «produttivo» e di «intensa diplomazia».
Un anno dopo il vertice in Indonesia
È stata una lunga marcia verso il nuovo faccia a faccia Biden-Xi. Il precedente risale al G20 in Indonesia dello scorso novembre. Da allora ha pesato la crisi del dirigibile-spia cinese che ha attraversato i cieli degli Stati Uniti prima d’essere abbattuto. Ancora: è stato riaffermato l’asse di Pechino con la Russia, impegnata nella guerra in Ucraina. E si sono intensificate le pressioni della Cina su Taiwan, con l’intento di assorbire un giorno l’isola che nel gennaio 2024 andrà alle urne. Xi ha infine fatto scattare giri di vite sui business internazionali, mentre Biden ha adottato protezioni di sicurezza nazionale sull’export di sofisticate tecnologie quali i semiconduttori. Sullo sfondo, la battaglia sempre irrisolta a colpi di dazi commerciali iniziata dalla passata amministrazione Trump.
Il quadro di riferimento dell’amministrazione Biden si è tuttavia evoluto. Sono svanite le minacce di decoupling, d’una separazione economica adesso denunciata come impossibile e dannosa tra due paesi responsabili della produzione del 40% dei beni e servizi mondiali. La parola d’ordine è piuttosto derisking, una strategia volta a limitare vulnerabilità strategiche e al contempo a promuovere stabilità bilaterale e una generale concorrenza salutare. È stato questo il messaggio di successive visite in Cina orchestrate in estate dai più stretti collaboratori di Biden: dal Segretario al Tesoro Janet Yellen a quello di Stato Antony Blinken e del Commercio Gina Raimondo.