“Ultimamente però io ho un problema proprio con gli ipocondriaci, perché sono quelli che mi vengono a dire che non compreranno il mio libro”, puntualizza la scrittrice. Ma Poverina è un libro che però davvero possono leggere anche le persone più ansiose: “È soprattutto un libro sugli altri, le persone che sono in ospedale, i medici, gli infermieri che ti raccontano i fatti degli altri pazienti, i pazienti stessi che fanno cose magari non proprio gradevoli, e ancora sulle persone che fuori dall’ospedale ti dicono ‘poverina’ anche quando hai un bel gin tonic in mano”. Ecco la spiegazione del titolo: “Era un modo per esplicitare il pensiero di chi avrebbe preso in mano il libro. Non volevo fare l’ennesimo memoir in cui si dice: ‘No, ma tu ce la farai! Perché sei un guerriero!’”.
Raimondo la incalza: “Tu in questo libro non vuoi spiegare niente, anzi sostieni che sono cose delle vita, come avrebbe detto Eros Ramazzotti”. La risposta è immediata: “Io volevo solo scrivere un libro sui fatti miei”, dice l’autrice. La domanda successiva sorge spontanea: “Il massimo che mi è successo è un calazio all’occhio”, confessa Raimondo: “Ma ogni volta che mi capita qualcosa di storto penso che sia anche una benedizione perché diventa materiale per il prossimo spettacolo, per il prossimo libro. Dunque ti chiedo: non è che te lo sei fatta venire apposta?”. Galeazzi aveva le idee molto chiare: “Fin da subito sapevo che avrei scritto qualcosa, era anche un modo per far andare le cose molto bene anche quando andavano molto male”, spiega lei: “Secondo me l’umorismo sta sempre nella cosa divertente che non farò mai più, come nel libro di David Foster Wallace. Già il fatto di fare ridere con un libro su un ictus a me piace molto, perché è straniante”.
“L’umorismo è un modo per affrontare le cose della vita”, continua Raimondo, anche se per Galeazzi non tutti reagiscono allo stesso modo: “Mi rendo conto che è una forma mentis che ce l’hai o non ce l’hai, non tutti affrontano le cose così. Magari molti non vedono l’ora di essere chiamati poverini”, e non è sempre facile virare certi temi sull’umorismo: “A volte vincono la cultura, la società che ti circonda, tipo: ‘Su certe cose non si scherza’. Per esempio quando qualcuno parla di malattia poi si tende a guardare quella persona sempre come se fosse malata, diventa la sua definizione. Invece oltre all’ictus c’è di più”. Tutto però potrebbe rivelarsi una trappola: “Hai paura che tra vent’anni ti chiedano ancora: ‘Chiara, facce l’ictus’, eh?“, ride Raimondo. “Alla fine l’inferno sono gli altri, diceva uno, forse proprio Ramazzotti ”, è la risposta di Chiara Galeazzi, molto lontana da qualsiasi definizione di “poverina”.
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di Paolo Armelli www.wired.it 2023-05-07 14:19:23 ,