Che edizione è stata, questa degli Oscar 2023? Per certi versi una delle più anarchiche e imprevedibili, secondo altri punti di vista una delle più noiose e scritte in anticipo. Ma come diceva Erasmo da Rotterdam, nonostante “si parli male della follia anche da parte dei più folli, io sola ho il dono di riuscire a rallegrare gli dei e gli uomini”. E in effetti, nonostante la maggior parte dei premi fosse stata ampiamente prevista prima dell’inizio della cerimonia stessa, certi risultati pur anticipati sono stati ugualmente emozionanti, soprattutto se inseriti nel più ampio panorama di una Hollywood che sta cercando di assumere una nuova identità, a partire proprio dai suoi premi più significati.
E così, come era stato ampiamente scritto nelle settimane scorse, a sbancare la serata è stato Everything Everywhere All At Once, film folle – appunto – che ha disorientato il pubblico, a volte lasciandolo estasiato, altre creando posizioni di aperta scontentezza. La vittoria a miglior film e in altre sei categorie è qualcosa di davvero eclatante per una produzione indipendente dal budget relativamente basso che però è arrivata a incassare quasi 110 milioni di dollari in tutto il mondo, e anche per un’opera seconda, quella di Daniel Kwan e Daniel Scheinart, detti “i Daniels”, che hanno sconfitto alla miglior regia un mostro sacro come Steven Spielberg (James Cameron, nemmeno nominato in questa categoria, ha direttamente snobbato la serata non presentandosi). Questa è anche la vittoria di uno studio indipendente, A24, che negli ultimi anni ha inanellato una serie di gemme esplosive (Hereditary, Lady Bird, Moonlight) e che proprio in questa edizione aveva un altro film molto nominato come The Whale, che alla fine ha vinto per il miglior attore Brendan Fraser e come miglior trucco.
Tornando a Everything Everywhere All at Once, il suo successo in qualche modo dice dei gusti in progressiva mutazione dell’Academy di Hollywood, che dal 2016 ha rinnovato gran parte dei suoi membri: se da una parte presenta alcuni tratti tradizionalmente apprezzati dai votanti di questa cerimonia (le storie di riscatto, di marginalità emotiva, attori laterali che si impongono in parti career-defining ecc.), dall’altra incamera con sapienza le lezioni più commerciali dell’intrattenimento di oggi, dall’irregolarità di certe serie tv al multiverso dei film Marvel. Un’opera quindi decisamente anti-canonica, su cui non pochi critici hanno storto il naso, ma che è anche un ottimo punto di congiuntura (compromesso?) tra autorialità e gusti più mainstream. In fondo è quello che gli Oscar stanno inseguendo in questi ultimi anni in cui la loro rilevanza, e soprattutto gli ascolti, si vanno via via erodendo: è peculiare che nel 2023 siano stati candidati a miglior film due sequel, Avatar: La via dell’acqua e Top Gun: Maverick, che con tutta probabilità sarebbero fino a pochi anni fa stati platealmente ignorati e che comunque si sono portati a dimora solo un premio tecnico a testa. Sintomo dei franchise sempre più imperanti nel mondo del cinema, ma mai fin in fondo digeriti dall’élite hollywoodiana.
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di Paolo Armelli www.wired.it 2023-03-13 08:32:44 ,