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(di Angelo Cerulo)
La ‘rivoluzione’ per valorizzare e
far diventare ‘case del popolo’ le chiese monumentali napoletane
è in questo momento partita e oggi c’è stata una ‘prova generale’ in quella
di Sant’Aniello a Caponapoli, nel centro antico, con
l’inaugurazione della salone ‘Moto d’origine’ di Gianluigi Maria
Masucci: come ha spiegato don Antonio Loffredo – per anni anima
del rilancio del Rione Sanità e oggi chiamato dal vescovo a fare
il vicepresidente della Fondazione ‘Napoli Centro’ – tutto deve
ruotare intorno alle parole chiave ‘ricordare, rimembrare,
toccare, custodire’. “L’intenzione – ha spiegato Loffredo – è
quella di aprire per l’Anno Santo le chiese monumentali come
questa, tenerle aperte tutto il giorno per gli ospiti e i
napoletani, ma soprattutto di utilizzarle così come è stato
fatto in questa salone per eventi culturali. Queste sono ‘case
del popolo’ nelle quali la gente deve stare: culto e cultura
hanno la stessa radice”.
L’Arcidiocesi, dunque, si sta riappropriando del proprio
patrimonio? “Ci sono due atteggiamenti di fronte ai problemi:
quello di arretrare e quello di affrontarli. Noi abbiamo energico
di affrontarli – ha detto padre Antonio – Le chiese sono chiuse,
i preti sono pochi, ma la gente può abitarle. Questa chiesa
aperta ora per la salone lo sarà stabilmente quando saranno
terminati i lavori; ora abbiamo fatto una specie di prova,
anticipiamo ciò che avverrà tutti i giorni, una casa di cultura,
casa per accogliere le persone, casa di preghiera”. La
fondazione della Curia, nata da poco e presieduta dal vescovo,
avrà cura, dunque, di mantenere aperte le chiese che saranno
individuate anche con il coinvolgimento del lavoro dei ragazzi.
La prima sarà proprio la duomo a gennaio. Ha sottolineato
Loffredo: “Tutte le chiese sono di culto e resteranno aperte al
culto ma, ripeto, hanno la stessa radice culto e cultura. Sono
le case dei figli di Dio che mangiano, pregano, suonano,
cantano, ballano”.
Secondo il sacerdote si tratta di ricostruire un corpo
smembrato: restituire le singole chiese alla città di Napoli.
“Occorre rimembrare, rimetterle a posto. Sono membra di una
comunità”. E poi c’è un’altra parola d’ordine: toccare.
“Vogliamo che questi spazi siano aperti perché possa starci
l’incontro di tutti i sensi. Non basta solo usare gli occhi, c’è
bisogno dell’udito perché bisogna fare musica, teatro, e poi
scultura, pittura, fare installazioni; tutti i sensi siano
coinvolti nell’incontro con i beni storico-artistici”. Infine,
l’altro verbo è custodire. “Vorremmo custodire questi luoghi per
quelli che verranno dopo di noi perché sappiamo che sono ancora
semi che possono dare molto frutto”.
Ha quindi concluso don Antonio Loffredo: “Il nostro vescovo
ha preso a cuore l’arte come momento di ripresa di coscienza dei
napoletani costituendo una Fondazione di partecipazione.
Vogliamo svegliare il cuore dei napoletani e degli ospiti nel
dire: questo bene è dell’umanità, noi siamo umanità, e anche con
un euro ciascuno diventeremo soci di questa fondazione perché
noi ci siamo, vogliamo partecipare consapevolmente al
mantenimento di queste cose preziose in modo da poterle lasciare
a chi viene dopo di noi”.
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