PALERMO — Prima ha chiesto qualcosa da mangiare — «un cannolo, una pizzetta» — come fosse al cinema. Poi, ha iniziato il suo racconto dell’orrore, con distacco, quasi parlasse di un film. Invece, la protagonista era lei, una ragazza di 17 anni che al fianco del padre e di una coppia di santoni ha massacrato la madre e i due fratelli, di 5 e 16 anni, nella loro casa di Altavilla.
Con lucidità ha esordito, davanti alla procuratrice per i minorenni di Palermo Claudia Caramanna: «All’inizio di febbraio, mamma ha conosciuto una coppia, Massimo Carandente e Sabrina Fina. Sin da subito dicevano che in casa nostra c’erano troppi demoni. Allora hanno iniziato a interrogarla, chiedendole chi fosse e cosa volesse. Le davano schiaffi e papà li aiutava». I due fanatici religiosi avevano pure costretto la donna al digiuno. «Poi, erano passati a torturarla, con una pentola. E volevano che lo facessi pure io. Ma all’inizio mi sono rifiutata — ha spiegato la ragazza — e ho colpito mamma solo con un guanto di plastica».
I messaggi all’amica
È un racconto davvero drammatico quello contenuto nell’ordinanza con cui la gip Alessandra Puglisi ha disposto la custodia in un istituto penale per la diciassettenne. Non era una sopravvissuta alla strage, come all’inizio si era pensato. Quando i poliziotti della sezione di polizia giudiziaria della procura per i minorenni l’hanno accompagnata in comunità hanno avuto i primi sospetti. Il giorno dopo ha confessato di essere una complice, adesso è accusata di omicidi pluriaggravati e soppressione di cadavere. Una complice lucida: «L’indagata ha sempre avuto a disposizione il telefono e, pur non andando a scuola, ha continuato a mantenere i contatti con una compagna — ricostruisce la giudice – E quando la madre gli ha chiesto aiuto e gli ha detto di chiamare i carabinieri, lei non lo ha fatto». Dopo l’omicidio, ha pure aiutato il gruppo a bruciare il cadavere della donna, Antonella Salamone si chiamava: «L’abbiamo avvolto in una coperta e messo sopra un legno. Poi, quel che è rimasto l’abbiamo seppellito».
Bisogna ripercorrerlo fino in fondo il racconto della giovane, anche se è doloroso e ripugnante, per cercare di capire le cause di tanta ferocia. Ha detto: «Massimo Carandente e Sabrina Fina mi avevano convinto di essere pure io vittima di una maledizione da parte della mamma e della nonna. Mi hanno fatto bere moltissimo caffè e poi mi hanno fatto vomitare, ero convinta di aver vomitato i capelli di mia madre, che da piccola mi picchiava, e della nonna». La coppia, che ormai si era stabilita a casa della famiglia di Altavilla, sospettava davvero anche della ragazza: «Avevano iniziato a farmi tante domande per vedere se fossi anche io un demone — ha raccontato lei — Ho pure sentito che avevano raccomandato a mio padre di chiamare la polizia e di accusarmi di tutto quello che era successo»\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\. È un racconto lucido, drammatico, quello delle sevizie.
Una settimana di orrori
«Prima hanno torturato la madre, per una settimana — ricostruisce l’ordinanza di custodia cautelare — Poi, la coppia ha chiesto alla giovane di partecipare attivamente alle torture per il bene della famiglia». Era solo l’inizio degli orrori. «A casa c’erano i demoni», ha continuato a ripetere la giovane, l’ha detto anche durante l’udienza di convalida del fermo. Insisteva: «Massimo e Sabrina hanno fatto le torture per liberare la casa dai demoni».
Dopo le percosse con la pentola, la madre venne ustionata con delle pinze da camino e con un asciugacapelli incandescente. «Stesso trattamento riservato al piccolo Emmanuel, di 5 anni, mentre l’indagata teneva fermo il bambino, che poi con l’aiuto del padre aveva legato al letto», hanno ricostruito i magistrati. Poco prima, l’avevano anche costretto a bere latte e caffè amaro in quantità: «Gliel’hanno iniettato in bocca», ha detto lei.
Il lungo sonno
Kevin, il fratello di 16 anni, è stato l’ultimo a morire: «Soffriva per il dolore, lo avevano legato al collo con una catena arrugginita e dei cavi elettrici — ha detto la giovane con la stessa lucidità — Gli adulti mi hanno detto di saltargli sulla pancia e l’ho fatto. Questo è successo la sera di sabato. A quel punto mi sono spaventata, perché Massimo faceva domande anche a me, poi a un certo punto se ne sono andati. E mi sono chiusa a chiave nella stanza, mi sono addormentata fino a quando non sono arrivati i carabinieri». Per la gip Puglisi il quadro è chiaro: «Non emergono dagli atti elementi che inducano a concludere per un’incapacità della minore di comprendere il disvalore del fatto o di determinarsi diversamente». Tutt’altro: «La minore era pienamente inserita nella vita sociale e scolastica e ha descritto con chiarezza le relazioni familiari e la sua condotta dimostrando di essere ben consapevole dell’evidente disvalore del delitto e delle sue valenze morali prima che giuridiche». Poco prima che uccidesse Kevin, aveva mandato una foto del fratello a una compagna. «Poi — ha raccontato — con papà abbiamo scritto alcune frasi religiose sui muri. Intanto, pregavo con Massimo e Sabrina, in arabo aramaico». Un delirio senza fine.
[email protected] (Redazione Repubblica.it) , 2024-02-18 07:34:03 ,palermo.repubblica.it