AGI – Joker non ride più. Ma la dolorosa sconfitta agli US Open che per mano di Daniil Medvedev l’ha privato del Grande Slam, complicata sì da digerire, ha già compiuto sul campo Arthur Ashe il miracolo di farlo amare dai tanti che non ce la facevano proprio ad acclamarlo come Federer o Nadal e neanche, nonostante le vittorie, a considerarlo il più forte di sempre. Facendolo commuovere quando il pubblico applaudiva il suo tentativo di rimonta, sul 5 a 2 nel terzo per l’avversario e quindi, con parecchie lacrime, durante la premiazione: “Anche se non ho vinto il mio cuore è pieno di gioia perché mi avete fatto sentire speciale su un campo da tennis, avete toccato il mio animo, non mi ero mai sentito così a New York” ha detto Nole in lacrime, quasi incredulo per tanta inedita adorazione.
Già, perché così amato, Djokovic non lo è mai stato. Anche Nicola Pietrangeli uno che può vantarsi di aver sconfitto nel lontano ’61 Rod Laver, l’unico maschietto ad aver conquistato, e per due volte, il Grande Slam, ha recentemente dichiarato che Nole non sarebbe stato il più forte di sempre neanche centrando, come non è appena successo, gli Open Usa e il Grande Slam, un traguardo stellare mai raggiunto dai suoi rivali di sempre.
La maledizione del Grande Slam sfuggitogli di mano, negandogli il ventunesimo, decisivo titolo e i sogni di gloria, lo fa mestamente restare a quota 20, alla pari con Federer e Nadal. Ma siamo sicuri, che incubo Medvedev e visione pietrangelesca a parte, il Grande Slam gli avrebbe finalmente consentito di essere percepito come il più forte di sempre, e di diventare finalamente anche il più amato e applaudito dagli appassionati di tennis, finora tiepidi nonostante le vittorie? Forse è vero invece il contrario.
Perché il serbo deve fare da sempre i conti con un ossimoro sportivo: essere il numero uno da 337 settimane consecutive e vincere più di tutti senza essere considerato il più forte. Per conquistare tale frustrante vetta Djokovic ha dovuto bruciare sull’altare degli dei del tennis quel ruolo di presunto simpatico che lo ha accompagnato nella prima parte della sua carriera. Dall’essere l’uomo delle imitazione che faceva arrabbiare la Sharapova perché alla festa dei giocatori di Montecarlo ne mimava alla perfezione le movenze pre-servizio e ai cambi di campo, e quello che si esibiva in divertenti siparietti con Fiorello, Nole è diventato l’uomo che organizza un torneo a dimora sua, a Belgrado, nel bel mezzo del pandemia dando vita, anche grazie ad una serata in discoteca, a un focolaio Covid. L’uomo che si nutre di miele di Manuka, rifugge il glutine, si chiude nella camera iperbarica e si affida, tramite guru, alla meditazione, si è trasformato nell’uomo che scaglia una pallina alla cieca contro un giudice di linea (New York, due anni fa) rischiando di colpirla: nel giocatore dalle urla belluine e gli sguardi demoniaci che, per trovare la giusta concentrazione, indirizza verso il suo angolo amenità di ogni tipo.
Tutto questo però può spiegare soltanto in parte il motivo per cui Nole non abbia nemmeno lontanamente eguagliato la passione che accompagna ogni singolo colpo di Federer, il plauso planetario che ha salutato la carriera di Nadal e fors’anche la compassione che pure i non britannici hanno attribuito ad Andy Murray e alle sue disgrazie fisiche. Ma il punto caldo resta un altro. Come si può ritenere che uno capace di conquistare le vette più alte del tennis (Grande Slam sfuggitogli di mano a parte) non sia considerato anche il più forte?
Le ragioni di tale pensiero controcorrente ci sono. Djokovic non è mai stato in grado di proporre un realismo magico come Federer. Non ha imparato a giocare a rete dopo i trent’anni come Nadal. Ma i numeri dicono che la sua possanza nasce sottotraccia, in una capacità di resistenza e di analisi (degli avversari e dell’andamento dei match) superiore a quella di chiunque altro, ultima finale a parte. Lui è un maratoneta che trasforma la fatica degli ultimi chilometri in un propellente per scattare.
Quando Federer ha avuto due occasioni per vincere quello che sarebbe stato il titolo a Wimbledon più entusiasamante della sua storia (2019) Nole non ha fatto nulla di speciale: ha spalancato le sue iridi e ha guardato il grande svizzero scaricandogli sul capo e nell’anima (esistono i transfert anche su un campo da tennis, eccome se esistono) il peso di quel passaggio storico. E Roger ha commesso due errori in cui mai sarebbe incorso, sul match point, in qualunque altra occasione.
Quello di Nole a cui quasi nessuno ha perdonato quella mancata vittoria di Federer a Wimbledon, è il tennis del sottosuolo. E le memorie sono complicatissime da leggere per gli avversari. E possono portarti a vincere più di chiunque altro. Ma dato che il tennis è anche (soprattutto) uno show umano dove il livello di forza viene stabilito anche da singoli gesti e da vittorie uniche forse più che dalla somma dei successi ecco che l’arcano è svelato. Ci si ricorderà più delle volèe di rovescio di McEnroe e della Navratilova o del Grande Slam sfuggito alla racchetta di Djokovic?
Forse la vera avventura sportiva del serbo comincia ora a 34 anni e con quasi 152 milioni di dollari incassati in carriera, parlando solo di montepremi, naturalmente. Ora che, mancando il Grand Slam e non riuscendo ad eguagliare Rod Laver, è diventato più umano, qualcuno con cui identificarsi. E nessuno più di Nole merita di averne la possibilità.