I parrocchiani che accusano il loro prete di appropriazione indebita, nonché il vescovo di coprirlo. E il vescovo che non solo smentisce le accuse al parroco, ma querela i parrocchiani per calunnia. Veleni à go go nella diocesi di San Miniato di Pisa, dove, forse incoraggiati dall’onda emotiva suscitata dai casi dei preti consumatori di droga denunciati a Prato e Migliarino, alcuni membri del Consiglio degli affari economici di due parrocchie della zona hanno denunciato alla Guardia di Finanza il loro parroco (reggente di entrambe) per appropriazione indebita.
L’accusa è di aver speso 60 mila euro per ristrutturare “il proprio alloggio personale” in canonica, con tanto di lavori per “tre bagni ad uso personale”, e acquistando una cucina nuova da 9 mila euro, utilizzando “non risorse personali ma fondi di una parrocchia, ovvero di una associazione senza scopo di lucro, rispetto alla quale il sacerdote riveste il mero ruolo di amministratore”. Il tutto, hanno sottolineato, “in aperta contraddizione con quanto costantemente affermato da Papa Francesco circa l’habitus morale che dovrebbe contraddistinguere un sacerdote: povero tra i poveri, al servizio della comunità, lontano dalle lusinghe del denaro”.
Nell’accusa si sostiene anche che – come proverebbe una registrazione audio – il vescovo di San Miniato, Andrea Migliavacca, non solo “continuerebbe a sostenere il parroco, ma anzi, in presenza di alcuni dei fedeli appartenenti al consiglio degli affari economici della parrocchia divenuti poi firmatari della querela”, avrebbe detto che, “se è vero che si sarebbe potuto spendere di meno, ormai è andata così e che se a qualcuno il costo di 9 mila euro per una cucina può apparire troppo elevato, occorre accettare anche il punto di vista del sacerdote che ha condotto una simile spesa, poiché ognuno ha la sua opinione e questa va rispettata”.
Le accuse, però, dopo aver fatto mormorare l’intera diocesi per tutta la giornata, sono state smontate, in serata, da una nota della stessa Diocesi, concordata col vescovo Migliavacca: “I lavori di ristrutturazione della dimora canonica erano necessari ed urgenti, essendo questa di fatto inabitabile”, vi si legge. “Le spese sono state tutte autorizzate dalla Curia diocesana e dal legale rappresentante della parrocchia, e sono documentate da fatture. Non è stato quindi commesso alcun illecito”.
E la Diocesi va anche oltre, “deplora l’uso da parte dei querelanti della registrazione di un colloquio privato con il vescovo” e, ribadendo “la piena fiducia nelle autorità giudiziarie chiamate in causa”, annuncia che sta “valutando di sporgere controquerela per calunnia”.