Processo Alice Scagni: il fratello Alberto è stato condannato a 24 anni e 6 mesi di reclusione. Ecco perché la semi infermità di mente del killer non ha escluso l’aggravante della premeditazione.
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Alberto Scagni è stato condannato a ventiquattro anni e sei mesi di reclusione per aver ucciso sua sorella Alice il primo maggio 2022 a Genova. Il reato contestatogli è stato quello di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dal rapporto di parentela.
I giudici non hanno ritenuto essere integrate né l’aggravante della crudeltà né quella del mezzo insidioso, contestata dalla Procura con riferimento al coltello che Alberto avrebbe nascosto nel sacchetto per non dare nell’occhio.
L’uomo, però, una volta espiata la pena in carcere dovrà trascorrere almeno tre anni in una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza. La condanna del fratello di Alice Scagni si è giocata tutta sul campo dell’imputabilità, che è per definizione la spina nel fianco della giurisprudenza. Non ha fatto eccezione in questo senso neppure l’accertamento della responsabilità penale di Alberto Scagni.
In attesa del deposito delle motivazioni della sentenza da parte dei giudici della Corte d’Assise di Genova, proviamo quindi a fare chiarezza e a spigare perché la semi infermità non ha escluso la premeditazione, ma ha portato anche alla disposizione per la quale Alberto, dopo aver scontato la sua pena in carcere, dovrà trascorrere almeno tre anni in una Rems.
Differenza tra vizio totale e vizio parziale di mente
Anzitutto, il Codice penale distingue tra vizio totale e vizio parziale di mente. Nel caso del vizio totale, l’infermità esclude totalmente la capacità del soggetto di intendere e di volere. Con conseguente esclusione dell’imputabilità.
La semi infermità, invece, sussiste in capo a chi aveva, al momento della commissione del fatto, uno stato di mente tale da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere e di volere. Il vizio parziale, quindi, non esclude l’imputabilità, ma viene considerato come un’attenuante in grado di diminuire la pena. Questo, almeno in parte, il motivo per il quale la Corte d’Assise di Genova ha condannato Alberto Scagni a ventiquattro anni e sei mesi di reclusione per aver ucciso la sorella Alice. Difatti, l’uomo è stato riconosciuto come affetto da vizio parziale di mente.
Perché Alberto Scagni è stato condannato anche se ritenuto semi infermo di mente
Partiamo dal presupposto che sul vizio di mente il diritto e la scienza medica si confrontano e dialogano. Non potrebbe essere altrimenti.
Il perito del Gip, il dottor Elvezio Pirfo, nelle sue conclusioni aveva diagnosticato ad Alberto Scagni un disturbo narcisistico e borderline della personalità. Un disturbo valido a riconoscere un vizio parziale di mente, non totale.
Considerato che l’alterazione mentale accertata dalla perizia psichiatrica non ha escluso completamente la sua capacità di intendere di volere, ma ne ha determinato di fatto una considerevole limitazione, la Corte d’assise di Genova ha quindi considerato l’uomo imputabile per il reato di omicidio volontario. Chiaramente, laddove non fosse stato riscontrato alcun vizio di mente, neppure parziale, la pena comminata a parità di circostanze sarebbe stata quella dell’ergastolo, come chiesto dal pubblico ministero. Così come, al contrario, se fosse stato ritenuto affetto da un vizio totale di mente, la punibilità sarebbe stata esclusa.
Tornando alla vicenda giudiziaria con al centro Alberto Scagni, invece, la condanna è stata quantificata in ventiquattro anni e sei mesi di reclusione proprio perché i giudici hanno applicato la diminuzione di pena prevista per l’ipotesi di seminfermità di cui all’art. 89 c.p.
Per questo, Alberto è stato valutato come in grado di comprendere ciò che stava facendo. Una capacità, quindi, si ribadisce, non intaccata dal disturbo narcisistico e borderline di personalità diagnosticatogli dal perito del Gip.
Il secondo passaggio da comprendere in punto di diritto riguarda la premeditazione. Secondo la Corte d’Assise di Genova Alberto aveva premeditato tutto. Aveva atteso il rientro a casa della sorella appostandosi per ben due ore prima di ucciderla con una tempesta di coltellate.
È chiaro, dunque, che nel nostro ordinamento la semi infermità non esclude neppure la premeditazione. Secondo prevalente giurisprudenza, infatti, anche un soggetto semi infermo può essere capace di sviluppare un atteggiamento psicologico e volitivo. Quindi, di conseguenza, può essere capace di agire con dolo di proposito architettando un omicidio. Proprio come ha fatto Alberto.
Infine, il fatto che sia stato disposto che Alberto debba essere trasferito in una Rems dopo aver scontato la sua pena significa che l’uomo è stato valutato anche come un soggetto socialmente pericoloso. Una pericolosità sociale che deriva dalla stessa infermità e che richiede l’applicazione della misura di sicurezza.
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di Anna Vagli
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2023-09-29 21:00:25 ,