Il 2 aprile ricorre la giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo. Un’occasione voluta dall’Onu per puntare i riflettori su bisogni e i diritti di chi ha un disturbo dello spettro autistico. Una condizione che sempre più spesso, oggi, si tende a smarcare dal concetto di malattia o disabilità psichica, perché in molti casi è più simile a un diverso punto di vista, un’esperienza del mondo in qualche modo differente da quella che fa la maggioranza della gente umana, ma non per questo necessariamente patologica.
Lo stesso concetto di spettro, oggi incorporato nella definizione ufficiale di autismo, rimarca l’enorme eterogeneità che si cela dietro una diagnosi. E si lega a doppio filo a un altro aspetto estremamente attuale del dibattito sull’autismo: la sua effettiva prevalenza. Nei paesi occidentali, Stati Uniti in testa, le nuove diagnosi infantili sono in aumento costante da decenni. E sulle cause di questo aumento si continua a dibattere da tempo.
Prevalenza in aumento
È giusto degli scorsi giorni la notizia di un nuovo aumento del numero di bambini americani con una diagnosi di autismo. A segnalarlo è uno studio dei Centers for Disease Control and Prevention, l’ultimo in una serie di aggiornamenti periodici che offre le stime ufficiali per il 2020. Nel 2000 si parlava di circa 1 bambino americano ogni 150 con una diagnosi di autismo. Nel 2016 la prevalenza era salita a 1 bambino su 54. Nel 2018 1 su 44. E per finire nel 2020, stando al nuovo rapporto dei Cdc, siamo arrivati a 1 su 36.
L’incidenza delle diagnosi è maggiore nei nati di sesso maschile: pari al 4% nei bambini e all’1% nelle bambine. E inferiore, per la prima volta, nei bambini con genitori di discendenza europea, rispetto a tutte le altre etnie presenti nel campione analizzato. I numeri americani sono ormai molto superiori a quelli riscontrati nel resto del mondo, nonostante il numero di persone con autismo sia comunque in aumento un po’ ovunque: in Europa, ad esempio, si stima una prevalenza pari a un bambino su 160 in Danimarca e Svezia, 1 su 86 nel Regno Unito, e di 1 su 77 nel nostro paese, mentre la media mondiale si attesta intorno a 1 su 100.
Cause ambientali?
Se i numeri certificano in modo oggettivo l’aumento delle persone autistiche nel mondo, sulle cause di questo fenomeno ci sono meno certezze. Esistono fattori ambientali che sono stati collegati ad un maggiore rischio di sviluppare un disturbo dello spettri autistico, e che sono diventati più comuni nel mondo moderno. Tra questi l’esposizione a sostanze tossiche nel corso della gravidanza, elevati livelli di inquinamento atmosferico sperimentati nei primi anni di vita, e problemi di salute materna al momento del concepimento e nel corso della gravidanza, come infezioni e obesità. Un’altra causa spesso chiamata in causa per spiegare la maggiore prevalenza dell’autismo nei paesi sviluppati riguarda l’età dei genitori al momento del concepimento. È stato dimostrato, infatti, che le probabilità di una diagnosi aumentano nei figli di genitori anziani, soprattutto prendendo in considerazione l’età del padre. E nei paesi in cui benessere ed educazione sono più diffusi nella gente la tendenza delle coppie è quella di ritardare l’arrivo dei figli, per lasciare spazio alla carriera e alla formazione universitaria e professionale.
Le ricerche svolte in questo campo, però, indicano che l’età più avanzata dei genitori può rendere conto di appena un 3% delle diagnosi di autismo. E anche gli altri fattori di rischio ambientale, per quanto quasi certamente responsabili in parte dell’aumento dei casi, difficilmente possono giustificare l’aumento di prevalenza delle diagnosi registrato negli Stati Uniti. Come riporta lo stesso rapporto dei Cdc, la variabilità che si osserva nelle diagnosi tra stati e regioni degli stessi stati è probabilmente dovuta, in larga parte, alle differenze che esistono nei criteri e negli sforzi diagnostici, tra territori differenti. E probabilmente, anche a fattori sociali e politici, e a una definizione sempre più ampia dello spettro autistico.
Definire lo spettro
Un primo fattore da tenere a mente è che la definizione di autismo è cambiata nel tempo, evolvendo insieme alle conoscenze su questa condizione che venivano accumulandosi. Non a caso, in parallelo all’aumento delle diagnosi di autismo si è assistito, in America ma non solo, ad una diminuzione di quelle di disabilità intellettive. A dimostrare che sempre più spesso vengono (correttamente) identificati come autistici bambini che in passato avrebbero probabilmente ricevuto una generica diagnosi di disturbo, o ritardo, mentale.
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di Simone Valesini www.wired.it 2023-04-02 04:50:00 ,