Perché i pappagalli parlano? E soprattutto, come fanno a riprodurre così bene alcune parole? Sono domande che ci siamo posti un po’ tutti e oggi abbiamo qualche informazione in più per arrischiarsi a formulare una risposta. Secondo i risultati di uno studio poco pubblicato su Nature, infatti, il cervello dei pappagalli (e in particolare di una specie di parrocchetto, il Melopsittacus undulatus) sembra andare incontro a pattern di attivazione dei circuiti cerebrali che fino ad oggi erano stati osservati solo negli esseri umani quando parlano.
Identikit del parrocchetto ondulato
Il Melopsittacus undulatus è anche conosciuto come parrocchetto ondulato, pappagallino ondulato, parrocchetto australiano o cocorita. La parola “melopsittacus” deriva dal greco ed è composta da una parte che significa canto o melodia e da una parte che significa pappagallo, a sottolineare il caratteristico richiamo emesso da questa specie, contraddistinto da suoni brevi e intermittenti. L’aggettivo “undulatus” (ondulato) indica invece le striature nere ondulate che caratterizzano le ali dell’animale. Il resto del piumaggio ha un tipico colore giallo o verde sgargiante. In natura il parrocchetto ondulato vive e nidifica in gruppo e si nutre tipicamente di semi e foglie. La specie è stata importata in Europa nel XIX secolo, dove si è adattata a vivere anche in cattività, come animale addomesticato.
Lo studio
I parrocchetti ondulati hanno una capacità davvero sorprendente di riprodurre parole e anche intere frasi, come far mostra di questo video della Bbc. Ecco perché gli autori del recente studio hanno pensato di utilizzarli per cercare di capire perché i pappagalli parlano, ossia quali particolari caratteristiche li rendono così abili rispetto per esempio ad altre specie di uccelli. Per farlo i due autori hanno impiantato chirurgicamente dei piccoli sensori di silicone nel cervello di quattro parrocchetti ondulati, con l’obiettivo di monitorare in particolare l’attività di una regione nota come nucleo principale dell’arcopallium anteriore (abbreviata come Aac), che si sa essere strettamente collegata con l’ente vocale di questi animali. I ricercatori hanno inoltre analizzato l’attività della corrispondente regione cerebrale in quattro esemplari di diamante mandarino (Taeniopygia guttata), un volatile canoro che però non è in grado di riprodurre le parole.
Ecco perché i pappagalli parlano
Studi precedenti avevano mostrato che entrambe le specie sono capaci di distinguere brevi successioni di suoni una dall’altra. Ma mentre il diamante mandarino tende a imparare candidamente l’ordine di questi suoni, il parrocchetto è capace anche di identificare caratteristiche più complesse, come le ripetizioni o gli accenti, e di individuarli anche in successioni mai ascoltate prima.
Il nuovo studio ha permesso di fare un ulteriore passo avanti e ha messo in luce che quando i parrocchetti cantano, specifiche cellule del loro cervello si attivano durante la riproduzione di determinate tonalità. Qualcosa che ricorda la tastiera di un pianoforte: ad ogni tasto corrisponde una nota, ed è più o meno così che funziona l’area del cervello dei parrocchetti dedicata al controllo dei suoni. Un’organizzazione, spiegano gli autori nello studio, che ricorda molto quella del cervello umano quando è impegnato a coordinare il linguaggio, e che non è invece stata riscontrata nel cervello del diamante mandarino.
“I nostri risultati – conclude il primo autore Zetian Yang, ricercatore presso l’Istituto di Neuroscienza e il Dipartimento di otorinolaringoiatria della New York University (Stati Uniti) – confermano che i neuroni Aac rappresentano sistematicamente l’intonazione vocale ed esercitano un controllo preciso su di essa, con questo sistema che far mostra di similitudini senza precedenti con l’attività cerebrale umana”. La risposta al perché i pappagalli parlano, quindi, potrebbe risiedere in questa “evoluzione convergente”, ossia nella simile organizzazione dell’area del cervello deputata al controllo dell’emissione dei suoni, acquisita nel corso del tempo da due specie evolutivamente tanto distanti come H. sapiens e M. undulatus.
Per il futuro, i due autori vorrebbero tentare di comprendere ulteriormente il funzionamento del cervello dei parrocchetti, andando a studiare le funzioni cerebrali superiori che determinano “quali tasti del pianoforte vengono premuti” a seconda degli stimoli in arrivo ai neuroni Aac.
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di Sara Carmignani www.wired.it 2025-03-20 15:55:00 ,