di Lorenza Negri
Quando Ken il guerriero andò in onda per la prima volta sulle tv locali italiane (la scheda di Wikipedia indica come data di debutto il 1987, ma era almeno due anni prima), l’impatto per i ragazzini della generazione anni ’80 fu micidiale. Accanto a icone dei cartoni animati dell’epoca come la rivoluzionaria Lady Oscar e il pirata spaziale Capitan Harlock si faceva spazio un nuovo mito, il sopravvissuto a una guerra nucleare che, secondo il suo creatore Bronson (Buronson) avrebbe devastato il pianeta prima al volgere del Millennio. La storia seguiva le peregrinazioni di Kenshiro, un giovanotto serio e silenzioso con il caratteristico fisico a imbuto e un volto alla Bruce Lee che successivamente morpherà in quello di Rambo. Ken è un esperto di arti marziali, l’erede della Sacra scuola di Hokuto in grado di uccidere gli avversari con la pressione di punti specifici del corpo. L’esecuzione viene seguita da un suono inquietante e l’esplosione splatter del malcapitato.
Nonostante la ferocia della tecnica, Ken è un mite, abbastanza da essersi lasciato sottrarre la fidanzata Julia dall’arrogante Shin, guerriero della Scuola di Nanto che gli ha inciso sul petto le sette stelle dell’Orsa maggiore. Esistono solo quattro maestri in grado di utilizzare le tecniche di Hokuto, mentre i guerrieri di Nanto formano un esercito. Di quest’ultima fanno parte i sei guerrieri nati sotto altrettante stelle, le cinque Forze, 108 sette e svariate fazioni. L’ambientazione ispirata a Mad Max 2 (il deserto postapocalittico, le bande di predoni che attaccano i villaggi, l’eroe solitario che prende le parti dei deboli, gli antagonisti pittoreschi e sopra le righe), l’iconografia influenzata dal Syd Mead di Blade Runner, da Katsuhiro Otomo di Akira e da Frank Franzetta di Conan il barbaro, il protagonista modellato su Bruce Lee e Yusaku Matsuda (a cui si ispira anche Spike Spiegel di Cowboy Bebop): sono gli elementi che, frullati insieme, hanno determinato la genesi di un mito.
Ken il guerriero fece la staffetta su svariati canali locali per almeno un decennio – appena concluso il cartone su un’emittente, ricominciava su un’altra – con una continuità rassicurante per quei bambini che ne fecero il loro (e un po’ violento, ma siamo sopravvissuti tutti, e pacifisti) primo gioco di ruolo dal vivo. La presenza costante di questo cartone che fondeva fantascienza, western, arti marziali e melodramma costituisce un altro motivo dell’impatto e dell’influenza che il lavoro di Bronson ha avuto per la generazione cresciuta a metà degli anni ‘80.
Ma cosa lo rende, davvero, indimenticabile? Sopra tutti, i personaggi. Le figure che circondano il protagonista sono spesso i foil character (“contraltari”) di questo, presenze strumentali alla delineazione della sua personalità e all’innesco di un’evoluzione. Curiosamente, in Ken il guerriero, è il protagonista a fare da foil agli altri, comprimari o antagonisti che siano. Kenshiro è mesto, ingenuo, per bene al limite del tedioso. Si fa apprezzare col tempo ma mai per l’abbagliante carisma: è l’eroe discreto.
Il nomadismo di Ken offre l’opportunità a lui e agli spettatori di imbattersi in altri guerrieri, spesso memorabili, a partire da Rei, a oggi una delle figure più iconiche dei manga nipponici. Guerriero di Nanto governato dalla stella della giustizia gli spetta una delle storie più sofferte della storia dell’animazione che ne fanno un antieroe di immensa statura tragica. Seguiranno uno stuolo di altri guerrieri di Nanto e Hokuto, i più accomunati da un epilogo ominoso e tormentati da traumi indicibili, villain bisognosi di redenzione o buoni in aria di santità. Sono le altre stelle di Nanto, come Souther (Sauzer), il despota nato sotto la stella del comando che piange l’affetto del suo maestro; Shin, il rapitore di Julia nato sotto la stella del sacrificio (ultimo), suicida per amore, che con la sua risata fastidiosa e la frangetta bionda era comunque più intrigante di quel bonaccione di Kenshiro. Tutti, incluso Yuza delle Nuvole (il fratellastro di Julia, perdutamente infatuato di lei) sono accomunati da personalità prorompenti, da una moralità flessibile e tendente all’amoralità e a una fine straziante.
Toki e Raoul, fratelli di sangue e guerrieri di Hokuto sfuggono alla classificazione che inquadra più facilmente i membri della Scuola di Nanto. Toki è una figura cristologica governata dall’altruismo e dal senso del sacrificio portati agli estremi. La sua esistenza assume il proprio scopo come stimolatore dell’umanità di Raoul. Il gigantesco e autoproclamato Re di Hokuto, è il machiavellico conquistatore e tiranno dalla grandiosa – e comprensibile a pochi – visione che va oltre la sete di potere per collocarsi in un disegno politico di unificazione. Il suo fine ultimo, la salvezza dell’umanità. L’aura che emana e le sue azioni violente lo annoverano nelle fila dei villain, ma Raoul è molto, molto di più: è una figura monumentale, un mostro di orgoglio e ambizione eppure un campione di forza, carisma, nobiltà (più nobile di lui c’è solo il suo cavallo, il superbo destriero Re nero) e fierezza. Al suo confronto il mite, introverso e un po’ musone Kenshiro – a cui, ora della fine della prima serie volevamo davvero bene – non regge.
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2021-11-30 15:00:00