C’è chi ama molto l’atmosfera del periodo natalizio, con i regali, i ritrovi con parenti e amici e le sue tradizionali melodie, e c’è invece chi si sente profondamente irritato già la prima volta che, tra novembre e dicembre, in radio o in televisione passano le prime classiche canzoni natalizie, da Jingle Bells a All I Want for Christmas is You, che uscì nel 1994 e da allora è una delle canzoni di Natale più ascoltate in tutto il mondo.
Vari psicologi e musicologi hanno provato a spiegare come mai la musica di Natale susciti emozioni positive in alcune persone e insofferenza in altre, arrivando ad alcune conclusioni interessanti: c’entrano i ricordi e le emozioni che evocano, ma da un paio di anni può avere un ruolo anche il contesto di pandemia in cui ci troviamo.
Nate Sloan, ricercatore di Musicologia alla University of Southern California, ha spiegato che anche se non tutte le canzoni natalizie sono uguali, ci sono alcuni elementi che indicano al nostro cervello che stiamo ascoltando qualcosa di quel genere: il tipico suono delle campanelle della slitta di Babbo Natale, così come certe strutture armoniche che richiamano all’atmosfera tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta, il periodo in cui si formò il canone della musica natalizia. Ci sono poi i cliché contenuti nei testi, che Sloan definisce scherzosamente parte delle «immagini stock del Natale»: i regali sotto l’albero, la slitta che corre sulla neve, il gesto di baciarsi sotto il vischio.
È anche grazie a queste caratteristiche che le canzoni natalizie, e in particolare i loro ritornelli, diventano quelli che in inglese si chiamano “earworms”: letteralmente “tarli nell’orecchio”, cioè melodie o canzoni appiccicose che ci entrano in testa e fanno fatica a uscirne, col risultato che non riusciamo a smettere di canticchiarle o di averle in mente.
Le canzoni di Natale hanno l’obiettivo di indicare che sta arrivando un periodo generalmente considerato pieno di gioia, e questo può essere rassicurante per alcune persone. Dal momento che per circa un mese all’anno si sentono ovunque – dai negozi, alla radio, alla televisione – e diventa difficile ignorarle, tuttavia, per altre possono diventare un tormento. Nelle parole dello psicologo canadese Ganz Ferrance, intervistato qualche anno fa da CBC, la ripetizione o comunque «qualsiasi cosa che viene percepita come eccessiva, dopo un po’ ci annoia o diventa fastidiosa».
Negli ultimi anni si è peraltro diffuso online una specie di gioco di Natale, il cosiddetto “Whamageddon”, che ha un’unica regola: vince chi a partire dal primo dicembre resiste più a lungo senza ascoltare mai, nemmeno casualmente e contro la sua volontà, la popolare canzone “Last Christmas” degli Wham.
Ma ci sono anche altri motivi per cui certe persone detestano le canzoni natalizie, e sono legati al modo in cui ciascuno di noi percepisce la musica e le sensazioni che evocano.
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In un articolo pubblicato sulla rivista Psychology Today, il professore della Western Washington University, Ira Hyman, scrive che spesso le canzoni natalizie che ricordiamo di più sono quelle che ci legano alla nostra infanzia o ad altri momenti importanti delle nostre vite. La musica, spiega Hyman, «è molto efficace nel creare nostalgia», che a sua volta «è sia una risposta emotiva che un’esperienza di ricordo» collegata alle sensazioni percepite in un certo periodo. È la stessa ragione per cui amiamo generalmente anche in età adulta le canzoni della nostra adolescenza.
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La nostalgia però non è sempre del tutto positiva, osserva Hyman: se da un lato può essere di conforto, dall’altro può trasformarsi in malinconia e far desiderare un passato che sappiamo di non poter recuperare oppure renderci consapevoli di qualcosa che si è perso, un po’ come succede con le canzoni molto ascoltate in adolescenza. In parole povere, contribuisce a evocare sentimenti negativi, che possono essere ulteriormente accentuati dalla continua esposizione alla fonte che li suscita, cioè la musica.
Come ha detto a Yahoo Life la psicologa clinica Linda Blair, in più, la musica natalizia può essere interpretata come uno stimolo o una sollecitazione che ricorda al nostro cervello «qualcosa che si deve fare, una cosa che si è persa, o qualcosa che in un modo o nell’altro crea pressione», diventando una fonte di stress. Per fare qualche esempio, se sappiamo di dover comprare dei regali e magari non abbiamo i soldi per farlo, o se sappiamo di dover incontrare qualcuno che non amiamo particolarmente, il nostro cervello si mette nelle condizioni di dover fare qualcosa per fare piacere ad altre persone o per mantenere una buona reputazione, ma non per appagare un proprio desiderio.
Quest’anno, sottolinea Blair, alcune persone che già non amano le canzoni natalizie potrebbero sopportarle ancora meno, visto che per la seconda volta dopo il 2020 il periodo delle feste si trascorrerà durante la pandemia da coronavirus. Blair ha ricordato che non sappiamo esattamente che tipo di Natale passeremo, né se ci saranno nuove restrizioni o se scarseggeranno i giocattoli da regalare, come previsto a causa della crisi nella catena di approvvigionamento che ha colpito il commercio internazionale dopo la pandemia. Chi ha perso una persona cara a causa dell’epidemia, inoltre, sentendo una canzone di Natale potrebbe sentirne ancora di più la mancanza.
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2021-12-11 15:44:49 ,