di Morgan Meaker
La popolarità come meccanismo di protezione non si applica solo a WhatsApp. L’elenco di Statista delle piattaforme più popolari in Russia nel 2020 dimostra come le autorità russe abbiano iniziato a bloccare le piattaforme meno diffuse. Twitter, l’undicesima app più popolare nel paese, è stata bloccata il 4 marzo. TikTok, l’ottava più popolare, ha sospeso i suoi servizi il 6 marzo. Ora anche Facebook e Instagram, rispettivamente il settimo e il quarto servizio più diffuso, sono bloccati. Eppure le due piattaforme statunitensi più popolari nel paese – YouTube e WhatsApp – sono ancora in funzione.
“Nonostante stia violando ogni possibile regolamento su internet in Russia, YouTube non è stato e non sarà bloccato, perché ha un pubblico troppo grande“, spiega Leonid Volkov, capo dello staff della campagna presidenziale russa di Alexei Navalny [il più noto oppositore politico del presidente russo Vladimir Putin, attualmente in carcere, ndr] e coinventore del gruppo per i diritti digitali Internet protection society.
Mancanza di alternative
Ma Volkov crede anche che ci sia un’altra ragione dietro la sopravvivenza di YouTube, che si applica anche anche a WhatsApp: “Non esiste un sostituto locale“, spiega. Anche se la Russia ha creato un’alternativa a YouTube, RuTube, Volkov descrive la sua quota di mercato come “inesistente“.
Non esiste nemmeno un’alternativa filogovernativa per WhatsApp, dove poter indirizzare gli utenti dell’applicazione nel caso in cui venisse bloccata. Il rapporto del governo della Russia con il suo concorrente più simile, Telegram, è burrascoso. La Russia ha cercato di bloccare l’app nel 2018, salvo poi annullare la decisione dopo due anni, in cui l’app aveva continuato a prosperare nel paese nonostante il divieto.
È possibile però che WhatsApp non rimanga a lungo senza un sostituto russo: “Adesso stanno cercando di resuscitare Icq“, spiega Epifanova, facendo riferimento a un rapporto del giornale russo Vedomosti, secondo cui la società russa di servizi internet VK Group avrebbe in programma di rilanciare un servizio di messaggistica censurato dal governo. Icq (che sta per “I seek you”, “ti cerco”) è stato originariamente sviluppato in Israele negli anni Novanta, ma la popolarità dell’applicazione si è affievolita rispetto al picco dei primi anni Duemila.
“Non sono sicuro che possano avere molto successo con Icq. Sembra una specie di scherzo: [la piattaforma, ndr] è vecchissima – continua Epifanova –. Penso che faccia parte di un progetto più grande per [sostituire, nda] ogni piattaforma di social media o messaggistica istantanea statunitense con un servizio controllato“.
La Russia non sarebbe il primo paese a cercare di creare un sistema di applicazioni parallele per sostituire i giganti statunitensi. “Lo abbiamo già visto in Iran – spiega Natalia Krapiva, consulente legale presso il gruppo per i diritti digitali Access Now – . Hanno ricreato il loro internet. Non funziona molto bene, ma rimane il fatto che le persone ora sono intrappolate lì“.
“Penso che [gli eventi in Ucraina, nda] potrebbero spingere la Russia a implementare davvero questo internet sovrano e a creare le proprie alternative, anche se ovviamente non saranno altrettanto valide“, aggiunge Krapiva.
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www.wired.it
2022-03-27 05:00:00