La scossa è di quelle che preannunciano l’ennesimo sisma. Piero Amara, l’avvocato corruttore di giudici per aggiustare sentenze, chiede un patteggiamento per bancarotta a Siracusa, il terzo: per ottenere lo sconto di pena ammette le proprie responsabilità e racconta di aver fatto ricorso ai legami con alcuni magistrati per favorire una società. In cambio ha ottenuto parcelle per 1,3 milioni di euro che hanno dissanguato l’azienda, portandola al crac. A cascata, le sue rivelazioni aprono l’ennesimo squarcio sul mondo giudiziario e la procura di Messina è già al lavoro. Obiettivo: ricostruire quanto ci sia di vero nel dettagliato resoconto di Amara. Il legale, tramite i buoni uffici del procuratore Tinebra, avrebbe infatti ottenuto che la procura generale di Catania avocasse le inchieste che lo interessavano.
Il patteggiamento di Siracusa riguarda il coinvolgimento di Amara nella bancarotta dell’Ato idrico della provincia, ovvero la società pubblica Sai8 che si occupa dell’acqua. Per il crac, l’avvocato ha proposto una pena di sei mesi, in continuità con altre due pene concordate a Messina e Roma. E, viste le ammissioni, la procura ha dato parere favorevole. L’esito, dunque, appare scontato. Tuttavia a riservare sorprese è il contenuto di un incidente probatorio relativo a questa vicenda. Poco prima di essere arrestato dalla procura di Potenza per la vicenda Ilva, infatti, Amara era stato interrogato il 4 aprile. E qui aveva raccontato il sistema escogitato per tirarsi fuori dai guai giudiziari.
In quasi cento pagine di verbale che l’Espresso ha potuto consultare nella sua integrità, Amara ricostruisce i legami con alcuni magistrati che negli anni d’oro del sistema reggevano la procura di Siracusa, come Ugo Rossi, oppure avevano ruoli chiave a Catania, come l’allora aggiunto Giuseppe Toscano e l’allora capo della procura generale Giovanni Tinebra. Adombrando ancora una volta lo spettro di “sistemi” e senza mancare di utilizzare alcune espressioni forti. Come quando, proprio in riferimento alla rete di relazioni con i magistrati sull’asse Siracusa-Catania, afferma che era «meglio avere a che fare con il clan Santapaola, almeno paga ed è tranquillo». Intendendo alludere a un sistema di corruzioni e ricatti molto più avviluppato di quello mafioso.
Il riferimento a tinte fosche è collegato proprio al metodo utilizzato per stoppare l’azione del pm Marco Bisogni, il magistrato che a Siracusa aveva aperto un fascicolo che riguardava vicende legate ad Amara. Secondo Amara a fargli il favore fu proprio Tinebra che avocò poi l’inchiesta al suo ufficio. Una cortesia su cui ora dovrà lavorare la procura di Messina guidata da Maurizio de Lucia.
Il verbale del 4 aprile è circostanziato. Amara è interrogato dal Gup Salvatore Palmeri e da Dario Riccioli, avvocato di Attilio Toscano (figlio del magistrato Giuseppe Toscano e anche lui imputato per la bancarotta Sai8 avendo ricevuto parcelle dell’importo simile a quello incassato da Amara). Ricostruendo i suoi rapporti con alcuni magistrati, in particolare Rossi e Toscano, Amara racconta anche della vicenda che lo ha riguardato direttamente: l’indagine di Bisogni. Dice Amara: «….Poi per esempio alcune decisioni venivano discusse con Gianni Tinebra anche, che all’epoca era Procuratore generale, perché Bisogni aveva un fascicolo nei miei confronti, si pose anche il problema di fare una vocazione di questo fascicolo, lui mandò un amico di Toscano, gli amici, che non mi ricordo chi era il Sostituto procuratore generale, il quale arrivò a Siracusa, prese possesso del fascicolo di Bisogni, poi tornò a Catania e disse “Mi sono divertito, là non si tocca”… Quindi quello era il sistema… per me era meglio avere a che fare con il clan Santapaola, almeno paga ed è tranquillo». Poi Amara ricorda anche il nome del magistrato che secondo lui venne mandato a Siracusa: «Si chiamava Platania, mi pare».
Ora il verbale è stato mandato dalla procura di Siracusa, guidata da Sabrina Gambino, a diverse procure. Compresa quella di Messina per i fatti che riguardano la vicenda Bisogni e per verificare se le dichiarazioni di Amara corrispondono al vero, o siano l’ennesimo tentativo di gettare ombre sulla magistratura. Tanto più che Tinebra, scomparso nel 2017, non può certo replicare in alcun modo.
Amara racconta (o millanta) anche di rapporti e relazioni con altri magistrati e ufficiali di polizia giudiziaria. L’avvocato Riccioli chiede ad Amara: «Può chiarire quali erano queste ragioni del suo rapporto personale ed ottimo con il procuratore Toscano?». Amara risponde: «In relazione non al procuratore Toscano, ma più in generale su cui io sono vincolato ad un obbligo di segretezza da altre procure, perché dopo le dichiarazioni del maggio del 2018…Per quanto riguarda i miei rapporti personali, sono… dei rapporti personali estremamente confidenziali, io sono andato a casa, con lui, con altri magistrati, magistrati del Tar, magistrati di questa Procura, ufficiali di polizia giudiziaria, direi straordinari, discutevamo delle parcelle di suo figlio alla Sai 8…Posso fare l’elenco dei magistrati con cui sono stato a casa sua…Maria Stella Boscarino (magistrato del Tar di Catania)… Tinebra, Adamo Trebastoni (magistrato del Tar di Catania), Longo, poi c’era il… tra gli ufficiali di polizia giudiziaria… mi pare uno Rizzotto si chiamava».
Amara parla di rapporti vincolanti con alcuni magistrati, rapporti che in alcuni casi definisce «mafiosi». Relazioni comunque che gli avrebbero permesso di vincere sempre le cause dei suoi clienti: «In questo senso mi sono permesso e chiedo scusa al giudice di qualificare quasi latu sensu mafioso un certo rapporto, nel senso quando lei chiude un accordo, con il quale lei crea anche il problema, quindi in quel momento, sbagliando, purtroppo questo in gran parte è stata la dinamica dei miei rapporti con la magistratura, che purtroppo per me ho avuto una percentuale di successo quasi all’80 per cento… questa è la dinamica di quei rapporti. Per essere chiari». E il terremoto è servito.