Piracy shield, un anno dopo. Se Maometto non va alla montagna, il governo fa una legge per obbligare la montagna a spostarsi, impone all’Autorità garante delle comunicazioni (Agcom) di dirigere il traffico e pretende che gli internet service provider si mettano a spingere, ovviamente a spese loro. È questa la sensazione a un anno dall’attivazione di Piracy Shield, la cosiddetta piattaforma anti-pezzotto, che nelle intenzioni dei suoi estensori avrebbe dovuto debellare lo streaming illegale delle partite sportive, a tutto beneficio dei titolari dei diritti. Il condizionale è d’obbligo dal momento che non esistono metriche pubbliche che ne confermino il successo. Gli unici dati disponibili sono da un lato il numero di blocchi arbitrari effettuato, che in in questo momento sei mesi è arrivato pericolosamente vicino ai limiti tecnici della piattaforma stessa; dall’altra, i dati sugli utenti unici dei titolari dei diritti sportivi. L’unico di cui disponiamo dal momento che società come Dazn non rivelano il numero dei loro abbonati. Anche in questo caso, i numeri sono impietosi.
Eppure non è bastato un anno di polemiche ed errori a consigliare maggiore prudenza ai decisori politici, che hanno invece abile di ampliare l’uso di Piracy Shield anche a nuovi attori nel tentativo di trasformarla nello strumento tout-court per il contrasto alle violazioni del diritto d’autore.
Prime televisive, trasmissioni esclusive, forse anche le serie: non è chiaro quale sia l’orizzonte che Piracy Shield vorrebbe raggiungere. Ma è chiara la preoccupazione degli internet service provider, che sono stati convocati in una serie di tavoli tecnici a gennaio di quest’anno per una presentazione delle novità in arrivo.
Tra queste l’eliminazione del limite alla quantità di risorse web che possono essere bloccate, stabilita originariamente proprio a tutela degli internet service provider più piccoli, per i quali tutta l’operazione è un costo vivo che non porta alcun guadagno. Un altro punto all’ordine del giorno è il reindirizzamento degli indirizzi Ip verso una pagina che informa l’fruitore che il sito richiesto offre contenuti illegali ed è per questa ragione bloccato. Come vedremo, si tratta di una misura tecnicamente irrealizzabile. Infine, la grande novità sarà l’introduzione di sanzioni nei confronti degli stessi internet service provider, qualora scoperti a divulgare informazioni o screenshot provenienti dalla piattaforma, secondo quanto appreso da Wired. Una misura evidentemente resa necessaria a fronte delle fughe di informazioni che hanno reso impossibile nascondere gli errori causati da Piracy Shield. Ma andiamo con ordine.
Perché non può funzionare
In primis, occorre precisare che Piracy Shield non fa quello per cui è nata. Lo strumento, voluto dalla Lega Calcio Serie A e realizzato tecnicamente dalla costola tech Studio Previti, SpTech, è tecnicamente detto una “piattaforma di ticketing”, ovvero uno strumento che permette agli utenti di un servizio di inoltrare una segnalazione, che viene ricevuta da chi dovrebbe occuparsene. Dal lato dei segnalanti ci sono i titolari dei diritti sportivi (Dazn, Sky, Mediaset e Lega Serie A) a cui spetta di monitorare la rete alla osservazione di link, pagine sui social, gruppi Telegram sui quali vengano condivisi quasi in tempo reale gli indirizzi internet delle partite trasmesse illegalmente; dall’altra siedono gli operatori della rete – gli internet service provider o Isp – su cui incombe l’obbligo di rendere inaccessibile una risorsa inderogabilmente entro trenta minuti dall’arrivo della segnalazione. Ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette.
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di Raffaele Angius www.wired.it 2025-01-30 06:00:00 ,