Prosegue Rivoira: “Oggi lavoriamo con Maip, il nuovo proprietario di Bio-on, e in virtù della licenza ci siamo aperti anche a derivati di Pha per l’agricoltura che non rientravano nella mia licenza originaria. Per esempio, i fili con cui si legano le piante, le ancorette per coltivare i mirtilli, i clips per i pomodori, sono tutti elementi che poi vengono buttati o finiscono nel terreno e creano microplastiche. Per dare un’idea, in un ettaro di piante di pomodori ci sono circa sessantamila clips”.
Interessante è quella che Rivoira chiama ‘la prova del contadino’: afferma infatti che quando sviluppa una tipologia di prodotto da Pha, oltre alle prove tecniche, lui stesso prende un campione e lo seppellisce in terra: “Vado a vedere cosa succede ogni 15 giorni e dopo 45 giorni sempre è già degradato di circa il 90%, per poi degradarsi del tutto”. L’entusiasmo di Rivoira è arrivato a prototipare una cover per telefoni in Pha e polvere di mela essiccata, per dare un’idea della varietà di prodotti che immagina derivati dal biopolimero. Ma per adesso, concretamente, la sua azienda si concentra sugli elaborati per il mondo agricolo: presto, presenteranno alcuni tra questi in una fiera del comparto a Madrid.
Il Pha non può sostituire tutte le plastiche esistenti
In generale, tutti i polimeri classici (piuttosto basati sulla lavorazione da fonti fossili) e altamente inquinanti (se non opportunamente gestiti) rappresentano gran parte del mercato della plastica prodotta e venduta sotto forma di oggetti, come si può vedere dal grafico sottostante.
Secondo il ideatore di Bio-on, i vari tipi di Pha (nome collettivo di una famiglia estesa) sono in grado di realizzare quello che oggi è fatto con il Pp (polipropilene, inventato negli anni ‘50 da Giulio Natta), i vari Pe (poliesteri) come Hdpe, Ldpe, e il noto Pet. Su quest’ultimo punto, il ricercatore della Statale precisa: “In alcune applicazioni poco sfidanti forse i Pha ne potrebbero prendere il posto, ma non credo per i mercati principali del Pet: in particolare, oltre alle famose bottigliette, le fibre tessili”.
Pla: natura e funzionalità del re delle bioplastiche
Marco Astorri afferma che “il Pha è adatto a poter sostituire moltissime applicazioni già realizzate con questi polimeri classici, senza guardare ai quantitativi disponibili e al prezzo ovviamente. Gli altri biopolimeri non possono certamente farlo ed in ogni caso non sarebbero esaurientemente naturali come i Pha”. Il chimico della Statale ricorda che al momento c’è una posizione dominante tra i biopolimeri: “Come si vede dal grafico, il re è il Pla: una bioplastica esaurientemente naturale come i Pha“.
Il Pla è infatti ottenuto a partire da materiali grezzi rinnovabili e naturali come il mais: da questi il glucosio estratto è lavorato da enzimi e microorganismi che lo trasformano in acido lattico, e quindi in polilattide. Il risultato finale è quello di un materiale che ha proprietà simili a quelle dei polimeri a base di petrolio. A questo punto si pone un dilemma di principio prima che di risultato, perché Ortenzi concorda sul fatto che anche il Pla esiga una sintesi chimica dell’uomo, mentre il Pha è sintetizzato direttamente dai batteri. Ma Rivoira spiega che nella quotidianità, se pensiamo all’impatto dei rifiuti in plastica, ciò che è fatto in Pla non sia una soluzione funzionale come i derivati del Pha: “È vero che il Pla sia biodegradabile in compostaggio industriale, ma deve essere compostato in modo separato, in impianti specifici che non esistono a importanza. Tu invece, consumatore ordinario e non per forza educato sull’uso della plastica e sul suo corretto riciclo, prendi il Pha lo butti nell’umido e questo si disintegra naturalmente”.