Il 21 luglio scorso il Dipartimento della salute dello stato di New York ha annunciato di aver rilevato un caso di poliomielite nella contea di Rockland, che fa parte dell’area metropolitana di New York, negli Stati Uniti. Questa malattia infettiva non veniva segnalata nel territorio statunitense da nove anni: si tratterebbe di una persona che ha contratto un ceppo di poliovirus derivante dal vaccino orale probabilmente in un paese estero. Le autorità intimano gli operatori sanitari a sorvegliare la situazione e raccomandano l’immunizzazione antipolio: i soggetti più a rischio, infatti, sono le persone non vaccinate e quelle che non hanno completato il ciclo vaccinale.
Una malattia, due immunizzazioni
Era il 2013 quando i Centers for disease control and prevention (Cdc) rilevarono l’ultimo caso – non autoctono – di poliomielite negli Stati Uniti (ma è dal 1979 che non vengono registrati casi naturali nel territorio americano): da allora, per ben nove anni, non vi sono stati nuovi contagi di questa malattia virale, causata da tre differenti ceppi di poliovirus, un tipo di virus che si trasmette attraverso l’ingestione di alimenti contaminati o con il contatto diretto tra le persone infette. I sintomi solitamente sono lievi e simil-influenzali (come stanchezza, febbre, mal di testa, rigidità, dolore muscolare, vomito), ma in alcuni casi la poliomielite può condurre alla paralisi o avere esiti fatali. Una volta presente nell’intestino della persona contagiata, infatti, il poliovirus invade in poco tempo le cellule del suo sistema nervoso, causando il danneggiamento permanente dei neuroni e paralisi irreversibili, anche ai muscoli implicati nella respirazione, che possono infine portare alla morte. Non esistono cure specifiche per la poliomielite: se nel corso del Novecento la malattia è stata eradicata in numerosi paesi del mondo (in Italia l’ultimo caso risale al 1982) è grazie all’azione dei immunizzazioni.
In particolare, sono stati sviluppati due diversi tipi di immunizzazioni contro la poliomielite: il primo è un vaccino a virus inattivato (noto anche con l’acronimo Ipv), creato da Jonas Salk nel 1955, somministrato attraverso un’iniezione intramuscolare e costituito da ceppi di poliovirus uccisi con formalina. Qualche anno dopo, nel 1961, Albert Sabin sviluppò il vaccino a virus attenuato (Opv), somministrato per via orale (durante le massicce campagne di immunizzazione del secolo scorso esso veniva sciolto su una zolletta di zucchero) e costituito da ceppi di poliovirus vivi, trattati in modo che perdessero le caratteristiche virulente dei ceppi selvatici ma che innescassero una risposta immunitaria molto simile. Oltre ad attivare la produzione di anticorpi contro il poliovirus nel sangue, il vaccino Opv stimola anche una massiccia risposta immunitaria intestinale, che, come si legge sul sito dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), rappresenterebbe una delle ragioni per cui le campagne di vaccinazioni massa con questo vaccino sarebbero state in grado di bloccare in maniera efficace la trasmissione del poliovirus selvatico da persona a persona.
Per queste ragioni l’Opv – come si legge sul sito dell’Istituto superiore di sanità (Iss) – ha permesso di eradicare la poliomielite in Europa ed è tuttora raccomandato dall’Oms per eradicare la malattia a livello globale. Tuttavia, il fatto che esso contenga ceppi di poliovirus vivi e non attenuati presenta alcuni aspetti critici, come l’eventuale insorgenza dei cosiddetti poliovirus derivati dai immunizzazioni. Secondo i Cdc, infatti, un poliovirus derivato dal vaccino è un ceppo virale indebolito inizialmente incluso nel vaccino Opv e che, avendo mutato nel tempo, ha acquisito caratteristiche che lo rendono più simile al poliovirus selvatico: ciò significa che può essere trasmesso più facilmente alle persone non vaccinate e può causare la manifestazione della malattia stessa, anche con i sintomi più gravi come la paralisi.
Il caso statunitense
Questo è quanto sarebbe accaduto per il nuovo caso di poliomielite statunitense: il Cdc ha confermato, attraverso un sequenziamento genico eseguito in laboratorio, che il ceppo contratto dalla persona nello stato di New York è un poliovirus di tipo 2 derivante da vaccino orale. Dal momento che negli Stati Uniti l’unico vaccino contro la polio utilizzato – a partire dal 2000 – è quello Ipv che non può dare origine a poliovirus infettivi, le autorità sanitarie ipotizzano che il virus potrebbe aver avuto origine in un luogo al di fuori degli Stati Uniti, in cui viene ancora somministrato il vaccino Opv: si sarebbe creata una catena di trasmissione a partire da un individuo che ha ricevuto il vaccino antipolio orale a una o più persone non vaccinate, fino ad arrivare al caso di New York.
Dal momento che il vaccino antipolio fa ancora parte del programma di immunizzazione scolastica negli Stati Uniti, le autorità rassicurano che i bambini e le persone già vaccinate sono poco a rischio. Invece le persone non vaccinate (comprese le donne in gravidanza) e quelle che non hanno concluso il ciclo di immunizzazione dovrebbero ricevere l’Ipv al più presto, mentre le persone già vaccinate ma esposte al contagio dovrebbero sottoporsi alla dose di richiamo.
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di Chiara Di Lucente www.wired.it 2022-07-22 15:44:11 ,