Una mamma che tiene in braccio il figlio negli ultimi disperati istanti di vita. Due sorelle morte abbracciate sotto lo stesso tetto. Sono alcune delle ipotesi sull’identità dei famosi calchi di Pompei, i morti dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Quelle storie, ritenute per decenni plausibili dagli archeologi, oggi devono essere riscritte. Uno studio, che ha visto coinvolti anche ricercatori italiani, ha analizzato il dna delle ossa intrappolate nei calchi e ha ricavato dei ritratti molto diversi da quelli finora immaginati. La studio è stata soltanto pubblicata sulla rivista Current Biology.
Chi erano i morti di Pompei?
Quello che rimane dell’Antica Pompei, sepolta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C, continua ad affascinare il mondo. Chiunque veda per la prima volta i calchi dei corpi ormai decomposti delle vittime rimaste intrappolate in città durante quel finimondo, poi, non può che commuoversi immaginando cosa devono aver vissuto. Ricostruire le loro identità, la loro storia non è affatto semplice e per decenni gli archeologi hanno solo potuto fare supposizioni sulla base di oggetti che portavano addosso o del contesto in cui sono state trovate, spesso interpretando la posizione, l’atteggiamento che si è fissato nel momento della morte, quando i detriti hanno sepolto le persone e si sono poi solidificati attorno ai loro corpi.
Così finora abbiamo pensato che quella figura adulta che portava un pregiato e pesante bracciale d’oro e che stringeva un bambino potesse essere una madre benestante, e che gli altri due corpi ritrovati nella stessa stanza di quella lussuosa casa fossero il marito/padre e un altro figlio. Errore. Così come è stato un errore aver pensato che i due calchi dell’abitazione nota come Casa del Criptoportico, uno un po’ più grande dell’altro, fossero due sorelle o madre e figlio/a.
La verità nel dna
A dircelo oggi è il dna che i ricercatori hanno estratto – non senza difficoltà – dai resti ossei conservati in 14 dei calchi di Pompei (solo da 7 però si è riusciti a ricavare abbastanza materiale genetico per l’analisi). Il sequenziamento ha permesso di dire che “la madre” era in realtà un maschio, così come maschi erano tutti gli altri individui ritrovati nella Casa del bracciale d’oro. E per giunta tra loro non c’erano legami di parentela. Anche alcune delle ipotesi sull’identità delle vittime abbracciate nella Casa del Criptoportico devono essere abbandonate: il corpo più piccolo è quello di un maschio e non c’è legame di sangue per via materna tra i due individui.
Il dna recuperato finora ci dice anche molto altro. In alcuni casi è stato possibile risalire ad alcuni tratti somatici delle vittime, ma soprattutto ci ha dato indizi sulla discendenza degli abitanti di Pompei dell’epoca dell’eruzione. Non c’erano solo persone con legami genetici con le popolazioni dell’Italia principale, ma soprattutto persone con origini riconducibili al Mediterraneo orientale o all’Anatolia.
Un nuovo sguardo su Pompei
Non solo, quindi, ci troviamo di fronte a evidenze che riscrivono la storia di singoli individui, ma con le nuove analisi entriamo in possesso di indizi che costringono a guardare con altri occhi un’intera società, nella sua composizione etnica e nelle convenzioni sociali.
Pompei, sulla base di questi nuovi dati, doveva assomigliare molto di più alla Roma dello stesso periodo storico rispetto a quanto creduto finora, interessata da flussi migratori e caratterizzata da un mix genetico molto vario.
Lo studio conferma anche che forse, e soprattutto in passato, c’è stata la tendenza a interpretare gli indizi e a formulare teorie in base ai nostri modelli culturali moderni: il concetto di famiglia nella Roma antica era molto più largo di quello che comunemente la nostra società le attribuisce. Famiglia erano tutti gli individui che vivevano nella stessa casa, anche gli schiavi e anche senza legami di sangue (va ricordato, tra l’altro, che l’adozione era molto comune all’epoca).
Infine, gli autori invitano a considerare la situazione in cui quelle persone si sono ritrovate insieme: tutto era sottosopra, la terra tremava, l’aria bruciava. Chi in un’emergenza non penserebbe a portare con sé almeno l’oggetto più pregiato della casa, come un bracciale d’oro? Chi non presterebbe soccorso a un bambino rimasto solo o anche a uno sconosciuto nelle stesse difficoltà?