Un esodo umano dalle proporzioni bibliche per scappare dal mare che sale e dalle sue conseguenze. Una realtà a cui assisteremo, ci dicono le previsioni, in meno di trent’anni in un territorio in sofferenza come quello del Bangladesh. Oltre 1,3 milioni di persone in tutto il Paese saranno costrette a migrare e cambiare vita in cerca di un luogo con più opportunità e più sicuro dove vivere. E’ quanto prevedono alcuni ricercatori italiani applicando la scienza dei dati e l’uso di modelli legati a mobilità, clima ed economia, in un nuovo studio da poco pubblicato su Earth’s Future.
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Maurizio Porfiri, ingegnere del Center for Urban Science and Progress della NYU Tandon School of Engineering, Pietro De Lellis, professore di Sistemi dinamici e ingegnere dell’Università di Napoli Federico II e Manuel Ruiz Marin, matematico dell’Università Tecnica di Cartagena, hanno utilizzato modelli matematici in grado di tenere conto del comportamento umano ed economico per tracciare alcuni scenari di migrazione legati alla crisi climatica in corso.
Nella ricerca Modeling human migration under Environmental change: a case study of the effect of sea level rise in Bangladesh gli esperti partono dai drammatici dati relativi all’innalzamento dei mari in tutto il mondo, fenomeno che coinvolgerà entro il 2050 oltre 680 milioni di persone che vivono lungo le coste del Pianeta, per provare a comprendere cosa accadrà in zone come per esempio il Bangladesh, dove la fuga dalle coste si tradurrà in un effetto a cascata che porterà a rivoluzionare equilibri economico-sociali e la presenza stessa delle persone all’interno delle città centrali che dovranno ospitare sempre più rifugiati climatici.
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“A causa dell’innalzamento dei livelli del mare, con il 40% del Bangladesh che ha meno di dieci metri di altitudine, ci sarà un impatto notevole su una popolazione già povera, soprattutto lungo le comunità delle coste. Aumenterà la popolazione costretta a migrare dando vita ad un effetto a cascata: le persone si sposteranno in distretti vicini, questi si sovrappopoleranno, altre persone si sposteranno di conseguenza. Il dato che abbiamo ricavato è che 1,3 milioni di persone saranno costrette a migrare in aggiunta a quelli che sono già i flussi migratori standard. E’ davvero una cifra importante” spiega a Green&Blue il professor Pietro De Lellis, autore dello studio.
Lo studio
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L’analisi approfondisce la realtà del Bangladesh, Paese attraversato da diversi fiumi, dal territorio fragile e già particolarmente suscettibile ad inondazioni, alluvioni e fenomeni climatici che per esempio mettono in ginocchio le comunità de Golfo del Bengala.
“Ma i nostri modelli sono applicabili anche ad altri Paesi – spiega De Lellis – e in altri casi si potrebbe parlare anche di tipi differenti di catastrofi e disastri. Abbiamo scelto il Bangladesh per due motivi: per la fragilità del territorio e perchè avevamo a disposizione una buona serie di dati sul Paese legati a lavori precedenti”.
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Il modello elaborato spiega come potrebbero cambiare le dinamiche all’interno dei vari distretti del Paese, dando vita ad un effetto a cascata che potrebbe generare continue migrazioni.
“Siamo partiti da modelli di mobilità e di tipo economico, ai quali abbiamo introdotto anche le migrazioni legate agli impatti del surriscaldamento, come l’innalzamento dei mari. Le nostre proiezioni sono relative al 2050, in cui ci si aspetta sia un aumento dei livelli del mare sia una crescita importante di popolazione. Abbiamo tracciato una sorta di mappa delle zone che saranno inondate e su questa previsione abbiamo usato un modello matematico per determinare gli effetti in tutto il Bangladesh: su 64 distretti 11 verranno colpiti dagli impatti delle inondazioni, dando vita ad effetti migratori a catena”.
Dalle coste le persone si sposteranno verso le città, come la capitale Dhaka e poi, dopo una crescita iniziale, nuovi fenomeni contribuiranno probabilmente a svuotare parte della città.
“Nel momento in cui c’è un flusso copioso di migranti ci sono vari fenomeni. Per esempio può esserci un rigetto della popolazione esistente in un luogo, oppure i nuovi migranti possono non sentirsi accolti, così come le popolazioni già presenti possono non accettare le nuove condizioni e decidere di spostarsi. Abbiamo cercato di tener conto degli effetti di rigetto e saturazione, come potrebbe accadere a Dhaka, dove chi già ci vive in futuro a causa delle migrazioni potrebbe decidere a sua volta di migrare”.
Modelli, quelli usati e studiati dai ricercatori italiani Porfiri e De Lellis, che in futuro potrebbero tracciare anche le migrazioni da uno Stato all’altro. “Uno sviluppo futuro del nostro lavoro riguarderà proprio le migrazioni verso l’estero – conclude De Lellis – migrazioni che potrebbero avvenire sempre per l’innalzamento dei livelli del mare che è uno degli impatti più disastrosi della crisi climatica e riguarda tutto il mondo, anche l’Italia.
Dobbiamo renderci conto che i cambiamenti climatici sono un dato di fatto e dobbiamo prepararci a questo, comprendendo che dobbiamo essere pronti a nuovi fenomeni migratori. Scenari quasi di guerra: se il posto dove hai le radici non è più abitabile è normale spostarsi altrove per cercare nuove opportunità di vita”.