di Marco Romandini
Ha fatto parecchio rumore la lista pubblicata dal Corriere della Sera con i nomi degli “attenzionati” dal Copasir per attività di propaganda russa. Sono finiti in prima pagina giornalisti, opinionisti, politici, influencer con tanto di facce e nomi. Un’operazione di dossieraggio che è stata in seguito smentita sia dal presidente del Copasir Adolfo Urso sia dal sottosegretario alla sicurezza Franco Gabrielli. “La lista l’ho letta su giornale, io non la conoscevo prima”, ha sbottato Urso, che ha comunque confermato l’esistenza di un’indagine conoscitiva sulla propaganda di Mosca in Italia. L’impressione è che si siano infastiditi per la pubblicazione di un’inchiesta in atto, ma in realtà il Copasir dovrebbe vigilare sull’operato dei servizi segreti, non fare indagini di altra natura.
Vecchi amici
Della presenza di propagandisti pro Russia nel nostro paese se ne sono occupati anche all’estero. Testate come Politico o Le Monde hanno stigmatizzato i nostri media per le ospitate di giornalisti vicini al Cremlino, per l’intervista al ministro degli Esteri Sergej Lavrov, ma anche più semplicemente per la presenza di figure come il professore della Luiss Alessandro Orsini, le cui opinioni in tema di guerra non sono considerate troppo ortodosse. Dopotutto che fossimo il ventre molle dell’Europa dove può affondare la propaganda di Putin si era già visto.
Le fake news della fabbrica dei troll, come è stata definita la Internet research agency di Yevgeny Prigozhin, ha avuto nel recente passato vita facile nel nostro paese a far passare tematiche complottiste e razziste, favorendo anche esponenti politici che hanno preso la palla al balzo. Non siamo stati immuni al soft power russo neanche durante la pandemia, con tante fake news messe in giro per minare la fiducia nelle istituzioni occidentali.
La sponda “sinistra”
Oggi con la guerra si entra però in una dimensione molto più vischiosa, perché se molte figure vicine alla propaganda russa erano già note – sovranisti e complottisti – per le dinamiche geopolitiche Mosca può contare sull’appoggio involontario di un alleato inaspettato e culturalmente più preparato: la sinistra radicale. Un fenomeno che non è soltanto italiano ma mondiale. Se in Italia ha fatto giustamente scalpore il caso di Zagarolo, con il manifesto del Partito comunista italiano che promuoveva la festa locale della liberazione dal nazifascismo sottolineando graficamente la Z emblema dell’invasione russa in Ucraina, pareri “più teneri” sulle colpe di Mosca si possono incontrare in quasi tutta la galassia comunista.
Nonostante la Russia di Putin sia piuttosto diversa dall’Unione Sovietica, il nemico di un tempo è lo stesso. L’insolita sponda arriva quindi da quello che potremmo definire un principio campista: “Il nemico del mio nemico è mio amico”. E chi è il nemico in questo caso? Gli Stati Uniti, la Nato. Ecco allora che la colpa primigenia, il peccato originale è comunque dell’Occidente. Un pensiero dilagante in certi ambienti radicali americani che ha già portato gli avversari a coniare l’ennesimo “plaining”: westplaining. Tutto ciò che succede a Est si spiega come conseguenza di ciò che ha fatto l’Ovest.
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2022-06-10 05:00:00