Utilizzando algoritmi di apprendimento automatico, gli scienziati sono riusciti a mappare questi segnali in base ai movimenti specifici che il paziente stava cercando di compiere: aprire la mano, per esempio, o sollevare l’indice. I vari movimenti sono stati quindi programmati nella protesi, in modo che ogni tipo di segnale elettrico provocasse il movimento corrispondente nell’arto artificiale.
Risultati promettenti
Circa quattro mesi dopo l’intervento, il paziente era in grado di compiere movimenti di base come la flessione del polso e l’apertura della mano, e riusciva a muovere ogni dito. Dopo poco più di un anno, gli scienziati hanno notato che era in grado di muovere la protesi in modo intuitivo. Questo significa che, invece di dover pensare a ogni movimento come a una procedura a più fasi, il soggetto poteva semplicemente pensare al movimento per eseguirlo. “Se devo pensare: ‘bicipite, tricipite, apri, chiudi la mano’, si crea un carico cognitivo – spiega Zbinden –. È un po’ più difficile che pensare: ‘Oh, ora voglio muovere il pollice’“.
Oggi, a più di due anni dall’intervento Zbinden afferma che il paziente sta ancora usando la protesi: “Attualmente può aprire e chiudere la mano, ruotarla, flettere ed estendere il gomito, il tutto solo pensandoci“.
Questa piattaforma protesica, che permette al paziente di muovere tutte e cinque le dita in modo indipendente, è “molto entusiasmante e presenta qualcosa di assolutamente nuovo“, commenta Oskar Aszmann, chirurgo plastico dell’Università di medicina di Vienna, che non ha partecipato allo studio. Aszmann è curioso di vedere se questa piattaforma un giorno potrà diventare wireless, cosa difficile a causa dell’enorme quantità di informazioni trasmesse avanti e indietro attraverso gli elettrodi e la protesi. Sia lui che Cederna fanno notare, tuttavia, che i risultati dovranno essere replicati su altri pazienti.
Ortiz-Catalan e Zbinden sono d’accordo. Proseguono a perfezionare la piattaforma protesica, a cui vorrebbero aggiungere anche un feedback sensoriale. Nel frattempo, però, non vedono l’ora di partecipare al prossimo Cybathlon con il loro paziente: “È un ragazzo che fa cose con le mani – racconta Ortiz-Catalan –. Ha un lavoro molto fisico, lavora in un’officina, e vederlo usare il dispositivo nella sua vita quotidiana – vedere che le connessioni funzionano e che la funzione aumenta – è una delle cose più gratificanti“.
Leggi tutto su www.wired.it
di Maggie Chen www.wired.it 2023-08-07 05:00:00 ,