Dopo una giornata nervosa e densa di sospetti e tensioni non solo tra le coalizioni ma anche e soprattutto tra gli alleati dei due fronti, il nome del futuro capo dello Stato arriverà nelle prossime ore. Un primo importante avvicinamento delle posizioni ci sarà oggi dall’atteso vertice tra i leader della Lega, del Pd e del M5s. Saranno dunque Matteo Salvini, Enrico Letta e Giuseppe Conte a provare un compromesso. Ieri sera è stato proprio il leader del Pd, durante l’assemblea dei gruppi, ad anticipare che domani, in occasione della quinta votazione, «ci sarà il nome del nuovo Capo dello Stato». Mentre in contemporanea Giuseppe Conte, riunendo i suoi, ribadiva la necessità di «assicurare massima stabilità all’esecutivo».
Anche Matteo Salvini ha riunito in serata i suoi grandi elettori dicendosi pronto al confronto con il centrosinistra dopo una telefonata con Silvio Berlusconi nella quale il Cavaliere avrebbe dato il via libera alla candidatura di Pier Ferdinando Casini o di Giuliano Amato. Due ipotesi che rischiano però di spaccare il centrodestra, visto che Giorgia Meloni è contraria a entrambe le soluzioni preferendo semmai il trasloco del premier Mario Draghi al Quirinale. Ipotesi questa, sostenuta fortemente da Letta, che resta comunque in campo. Con la possibilità, se l’ipotesi Draghi dovesse infine superare le resistenze di Salvini (e anche quelle del Cavaliere), che a Palazzo Chigi finisca proprio uno degli altri due candidati di queste ore: Casini o Amato.
Ma se l’opzione Casini divide il centrodestra, quella Draghi divide il centrosinistra. Conte, infatti, continua a ripetere che Draghi deve restare a Palazzo Chigi accentuando il solco scavato negli ultimi giorni con Letta. Una posizione, tuttavia, non condivisa da tutto il movimento e in primis dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, ieri in Parlamento particolarmente attivo nei conciliaboli con i ministri Giancarlo Giorgetti della Lega, primo sponsor del premier, e Lorenzo Guerini del Pd, anche lui del “partito di Draghi”. Anche per questo in serata Conte appariva più cauto limitandosi a caldeggiare «la continuità di governo» e ribadendo che «non ci sono da parte nostra veti per nessuno».
In favore della soluzione Draghi, infine, anche i centristi di Coraggio Italia e il leader di Italia Viva Matteo Renzi, con il quale non a caso Letta ha ripristinato in queste ore un asse privilegiato: è proprio su questo inedito asse che durante la giornata di ieri è naufragata la candidatura della presidente del Senato Elisabetta Casellati. Per giorni dal centrodestra davano per «sicuro» il sostegno dei renziani di Italia Viva, e ieri mattina al vertice del centrodestra Meloni si diceva convinta che «la spallata» poteva andare in porto. Ma le parole di Renzi, che ha escluso in modo inequivocabile l’appoggio di Italia Viva a Casellati, così come lo scarso entusiasmo dei centristi di Coraggio Italia, hanno fatto uscire di scena l’ipotesi. Riportando la trattativa sui due nomi di Draghi e Casini. Amato resta sullo sfondo come possibile soluzione «istituzionale» in caso di impasse. Così come non è tramontata quella di un secondo mandato per Sergio Mattarella, che ieri in Aula ha ottenuto il triplo dei voti del giorno precedente arrivando a 125: un segnale venuto soprattutto dalle fila del M5s. Eppure Letta, ammettendo che «il Pd è abbastanza solo nel voler preservare Draghi», ha confidato ai suoi parlamentari che da Salvini sono già arrivati dei no «privatamente» su tutti i nomi in campo: da Draghi ad Amato passando per Casini.
Molti segnali indicano dunque che non va esclusa l’ipotesi che il leader della Lega possa alla fine convergere su una candidatura al momento tenuta coperta e sulla quale di ritroverebbero almeno i partiti della maggioranza, senza vinti e vincitori. Ieri sera si era sparsa la voce della visita di Salvini all’ex giudice costituzionale Sabino Cassese. Il leader della Lega ha smentito, ma il profilo di Cassese rientra perfettamente in quello del possibile Capo dello Stato qualora la candidatura di Draghi dovesse davvero tramontare.