Insomma Saulnier non ha girato solo un buon film d’azione (cosa già rara!), ma un film che, mentre racconta una storia abbastanza comune, ragiona al contrario. Rambo vuole espandere il conflitto e, se non lo fermassero in tempo, scatenerebbe una guerra. Qui, invece, tutto è all’insegna del cercare di ridurre il conflitto, anche se poi la violenza prende sempre il sopravvento, perché c’è un’altra idea di fondo proprio. Nonostante nessuno lo faccia notare apertamente, il protagonista è afroamericano (Aaron Pierre, già protagonista di The Underground Railroad) e noi vediamo chiaramente che sa come comportarsi con la polizia quando viene fermato, sa avere a che fare con i pregiudizi. Il suo tentativo di sottrarsi a ogni problema nasce da lì ed è un commento in sé.
Ma la forza di Rebel Ridge sta soprattutto nella maniera molto originale con cui sceglie il proprio ritmo. Non ha l’ansia della corsa, la sua idea di azione si dipana con grande calma e padronanza delle atmosfere. Ha imparato da Drive di Refn che non serve correre per raccontare una storia d’azione, e da film come John Wick e Atomica bionda che non c’è bisogno di quel tipo di coreografie di combattimento. Saulnier qui cerca uno strano e convincente realismo: le colluttazioni sono ovviamente esagerate, ma contaminate da una loro forma di plausibilità. È più o meno quello che accadrebbe se un esperto di arti marziali di livello massimo, come un marine, si scontrasse con degli sceriffi sovrappeso di provincia, cercando di prevalere con il minimo dei danni. Non è realistico, non è smoderatamente esagerato, è un punto a metà che rende l’azione interessante, i ritmi diversi e tutto di colpo più sensato.
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di Gabriele Niola www.wired.it 2024-09-12 15:19:30 ,