di Amit Katwala
Le esperienze personali si riflettono anche nei mondi che lo studio sta creando. I primi film di Pixar potrebbero essere ambientati ovunque: Toy Story e i suoi sequel si svolgono nella nebulosa Tri-Counties Area, una vaga approssimazione del centro America, disseminata di strade suburbane, centri commerciali e sale giochi a tema spaziale. Inside Out parla di una ragazza la cui famiglia si trasferisce dal Minnesota (dimora del regista Pete Docter) a San Francisco, ma se si sostituisce l’amore di Riley per l’hockey con qualcos’altro, c’è poco che leghi la storia a quei luoghi.
Ma in Soul, il film del 2020 che racconta la storia di un musicista jazz fallito che si ritrova involontariamente nell’aldilà, New York diventa parte del tessuto del film. Allo stesso modo, Red è talmente legato alle esperienze di vita di Shi che ambientarlo in un posto diverso dalla sua città natale avrebbe alterato completamente la storia: “Ho la sensazione che nei film Toronto e Vancouver si spaccino sempre per altre città americane”, spiega Shi, riferendosi alla frequenza con cui le due città canadesi sono scelte come luoghi per girare i blockbuster di Hollywood. Ambientare il film in un luogo reale compensa anche lo stile di animazione di Shi, influenzato da anime e manga. Questa specificità si estende al periodo in cui si svolge la storia, il 2002. Meilin e i suoi amici giocano con i Tamagotchi e sono ossessionati dai 4*Town, una boy band fittizia con alcune canzoni molto orecchiabili (scritte per il film da Billie Eilish e suo fratello Finneas).
“Oggi abbiamo la possibilità di fare molto di più e quindi non abbiamo paura di basare [una storia, ndr] in un luogo reale“, racconta Collins, riferendosi al modo in cui i miglioramenti nella tecnologia offrano agli animatori di Pixar maggiori opzioni. Shi ricorda di aver potuto scegliere i campioni di pelle per i suoi personaggi con gradi di realismo che andavano dal poter vedere ogni poro all’effetto “bambola di plastica”, mentre a metà degli anni Novanta i creatori di Toy Story avevano solo la seconda opzione a disposizione. Grazie a elementi che vanno dallo stile d’animazione (“massiccio ma puccioso“) all’uso del colore (“pastello, luminoso e fresco“), gli animatori di Red sono stati in grado di mettere in primo piano la sensibilità di una ragazza di tredici anni. “L’obiettivo non era solo dare uno stile per il gusto di farlo – dice Collins –. Dal momento che la protagonista è una ragazza asiatica di tredici anni, per noi era importante partire da quella prospettiva mentre progettavamo il mondo“.
Parlare di pochi per parlare a tutti
Dopo una serie di successi, Pixar ha gode della libertà necessaria per allontanarsi dal modello di film realizzati “da papà, per i papà”, per usare le parole di un utente di Twitter, e lasciare che un gruppo più eterogeneo di personaggi e creatori assuma il controllo. Il fascino esercitato dalle ultime creazioni di Pixar rimane ampio: semplicemente ora i suoi film cercano di far immedesimare gli spettatori in modi nuovi. “Già dalla prima presentazione – racconta Shi – per me era importante definire chiaramente quale fosse l’aspetto universale che stavamo raccontando con questo affresco molto specifico dal punto di vista culturale“. “Per Red è l’esperienza di crescere, di svegliarsi improvvisamente un giorno e rendersi conto di essersi alzati di diversi centimetri, di essere ricoperti di peli e avere sempre fame. Penso che la maggior parte delle persone abbiano avuto un’esperienza simile, in cui si sono sentite un alieno nel proprio corpo“, aggiunge la regista.
Come prevedibile, la nuova direzione non è stata compresa da alcuni recensori, che dopo film su robot, auto parlanti e pesci pagliaccio, ritengono difficile identificarsi con la storia di una tredicenne cinese, che sarebbe troppo “circoscritta” e “limitata nella sua portata”. Ma in fin dei conti, lo scopo del cinema è quello di trasportare il pubblico nella testa di qualcuno che non si è mai incontrato e insegnare allo stesso tempo qualcosa su se stessi.
Anche se lo spostamento di Pixar verso storie più specifiche può infrangere alcune delle regole che hanno portato la dimora a fare incetta di premi, i film che ne derivano sono in grado di cogliere sia il lato personale che quello profondo. Shi riflette su una delle prime immagini che ha disegnato per la presentazione del progetto, in cui Meilin prega i suoi antenati per avere una taglia di reggiseno più abbondante: parla nello specifico a una ragazza di tredici anni, certo, ma anche di questioni più ampie sul senso di appartenenza e la doppia vita che molti di noi devono vivere. “[La scena, ndr] catturava davvero Mei e il film – racconta Shi –. Questo è il film: una ragazza che lotta per sopravvivere alla pubertà e al cambiamento, ma anche per cercare di destreggiarsi tra i due mondi in cui è nata“.
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www.wired.it
2022-03-14 14:00:00