Referendum, Conte: è crisi di una politica che tutela se stessa

Referendum, Conte: è crisi di una politica che tutela se stessa



Anche se i sì vincono sui no in quasi tutti i quesiti, finiscono lontanissimi dal quorum (come mai) i referendum sulla giustizia. Per molti il dato politico del post voto è avviare una riflessione sullo strumento in sé. «In realtà, più che un serio tentativo di riformare la giustizia e migliorare il servizio ai cittadini, i quesiti referendari nascondevano una vendetta della politica contro la magistratura», sottolinea il presidente del M5S Giuseppe Conte. «I cittadini l’hanno capito, con il risultato che questo passaggio referendario è il meno partecipato di sempre. Allora non si dica che siamo davanti alla crisi dei referendum e della democrazia diretta. Siamo di fronte alla crisi di una politica più attenta a tutelare se stessa che a dare risposte ai bisogni reali delle persone».

Malpezzi (Pd): Lega schizofrenica

«Sui quesiti referendari sulla custodia cautelare e sulla Legge Severino c’è stata una sorta di schizofrenia del centrodestra e soprattutto della Lega, di cui si ricordano cose come il cappio o il buttare via le chiavi per chi finisce in galera, che ora dice al proprio elettorato di essere garantista». A dire così è Simona Malpezzi, al Nazareno, commentando l’esito dei referendum. «Il centrodestra non è riuscito nemmeno a portare i propri elettori al voto al referendum, in particolare la Lega. Noi abbiamo sempre detto che questi quesito non erano adatti, così lunghi e tecnici, è che dovevano essere materia parlamentare. Tre di questi sono oggetto della riforma del Cam in calendario questa settimana al Senato».

Sisto (Fi): non confendere bassa affluenza con no

«Nel pieno di una guerra, e con la pandemia ancora in corso, l’attenzione mediatica per il referendum è stata, eufemisticamente, sottotono. Se a questo si aggiungono il giorno scelto per il voto, certo non “invitante” per recarsi alle urne, e la complessità di alcuni quesiti, credo che il dato sull’affluenza sia presto e in larga parte spiegato. Ma una cosa deve essere chiara: non è detto che chi non è andato a votare disapprovi il contenuto dei quesiti» segnala dal canto suo il sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto. «Il mancato voto non significa voto contrario. E bisogna avere sempre grande rispetto per la democrazia diretta, che è il contrappeso della democrazia parlamentare. Inevitabilmente ora dobbiamo portare a termine la riforma dell’ordinamento giudiziario, prendendo atto che, comunque, vi è stato uno stimolo chiaro al recupero e alla difesa dei valori costituzionali. Il Parlamento, forte anche di questa indisponibilità del Paese a tornare indietro, deve definire con immediatezza i residui capitoli delle riforme in corso di esame».

Faraone (Iv): crisi evidenziata da esito, riformarlo

«Tra le riforme istituzionali che tentammo di introdurre con i referendum istituzionali proposti dal governo Renzi c’era quella dei referendum popolari abrogativi. L’idea era che se fossero stati richiesti da almeno 800mila elettori, invece che 500mila, sarebbero stati validi anche nel caso si fosse espressa la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni politiche; se richiesti da almeno 500mila elettori ma meno di 800mila, o da cinque Consigli regionali, sarebbe rimasto invariato il quorum della maggioranza degli aventi diritto. Sarebbero stati inoltre introdotti due nuovi tipi di referendum popolari: propositivi e d’indirizzo». Il presidente del senatori di Italia Viva Davide Faraone coglie nel voto di domenica un riflesso più generale. «Chissà se dopo le tre maggioranze e i tre diversi governi in una sola legislatura, il monocameralismo alternato che di fatto ha soppiantato il bicameralismo, l’uso ormai ordinario della decretazione d’urgenza, la pandemia e il caos della sanità affidata alle Regioni, la crisi dell’istituto referendario evidenziata clamorosamente col voto di ieri, sono sufficienti per comprendere adesso la necessità e la bontà delle riforme istituzionali che proponemmo, bocciate col referendum del 2016».

Per Radicali il metodo è «fallimentare»

«Il processo referendario, come storia ci insegna, è difficile e molto tortuoso: la scelta dei quesiti, la formazione del comitato promotore, il deposito in Cassazione, la raccolta delle firme, il giudizio della Corte Costituzionale, gli spazi televisivi e infine, solo infine, il quorum da superare». Così in una nota Massimiliano Iervolino, Giulia Crivellini e Igor Boni, segretario, tesoriera e presidente di Radicali Italiani. «Ebbene, come denunciamo da decenni, in Italia è quasi impossibile promuovere e vincere referendum: dall’impossibilità di raccogliere 500mila firme autenticate e certificate, al giudizio politico della Corte costituzionale (vedi bocciatura dei referendum eutanasia e Cannabis) passando per il boicottaggio del cosiddetto servizio pubblico della Rai e finendo con l’esistenza di un quorum che spazza via quasi ogni consultazione popolare – sottolineano – In tutto questo processo referendario la cosa che siamo riusciti a cambiare è la firma digitale per sottoscrivere i quesiti. Tuttavia restano in piedi gli ostacoli sopraelencati: quasi insormontabil



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