È da pochi giorni arrivata la notizia che ha fatto balzare dalla sedia gli osservatori del pianeta fintech: Revolut, la super app britannica di servizi finanziari, ha registrato per la prima volta un utile nel 2021, di 26,3 milioni di sterline. Un annuncio più che mai gradito (anche se giunto in ritardo), che desta però qualche perplessità: su Revolut in primis, ma anche sul settore delle banche digitali nel suo complesso, nato allo scopo di sbaragliare le banche tradizionali.
Risultati in chiaroscuro
Sui conti diffusi da Revolut è già calata più di un’ombra: i 636 milioni di sterline di entrate – triplicate rispetto al 2020 – sono sì sostenute dalla crescita dei clienti, ma soprattutto dall’incidenza delle commissioni sulle criptovalute, che nel 2021 hanno macinato un record dietro l’altro. Esse rappresenterebbero, sul totale del fatturato, una quota del 30%. Non certo spiccioli. E non certo una sicurezza per la sostenibilità dei conti futuri, dato che l’anno scorso le cripto hanno bruciato 2mila miliardi di capitalizzazione e che a oggi non hanno ancora recuperato slancio. A calmare gli animi ci ha pensato il direttore finanziario di Revolut Mikko Salovaara, assicurando che l’anno scorso i ricavi hanno continuato a correre, benché a ritmi più contenuti rispetto al 2021.
Ma a suscitare sconcerto è stata la società di revisione Bdo, chiamata a certificare i bilanci, che ha affermato di non essere stata in grado di verificare i tre quarti dei ricavi. Detto in altri termini, per quei tre quarti dobbiamo credere a Revolut sulla parola.
Banche digitali in perdita
A dispetto delle ombre, la performance di Revolut è comunque significativa. Seppur difficilmente comparabile con il resto del settore. Fondata nel 2015, l’app è cresciuta rapidamente fino a diventare uno dei maggiori unicorni fintech europei, con una valutazione di 33 miliardi di dollari e oltre 27 milioni di clienti. Solo in Italia ne vanta più di un milione. Decisamente un’altra lega rispetto alle altre 95 banche digitali del continente, secondo la mappatura realizzata dall’Area Studi Mediobanca. Basti pensare che la seconda sul podio in termini di base clienti, la tedesca N26, ne ha conquistati circa 8 milioni e nel 2021 registrava una perdita netta di oltre 170 milioni di euro.
In generale, le neobank non riescono ancora a fare soldi, benché la loro redditività sia in lieve miglioramento. Nate come startup, si qualificano per l’innovazione tecnologica e costi di funzionamento inferiori rispetto alle banche tradizionali, grazie all’assenza di filiali fisiche e a una dotazione di personale contenuta. Di conseguenza, applicano alla propria clientela commissioni generalmente basse e pacchetti base talvolta gratuiti che rappresentano una forte attrattiva per i millennial. Con un simile modello di business, il raggiungimento del pareggio tra costi e ricavi passa inevitabilmente dalla crescita dei clienti. Un obiettivo non sempre agevole, con i giganti del settore (Revolut fra tutti) che rosicchiano quote di mercato sempre più consistenti. E non tutte sopravvivranno.
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di Greta Ardito www.wired.it 2023-03-10 05:50:00 ,